L’articolo è stato aggiunto alla lista dei desideri
IBS.it, l'altro eCommerce
Cliccando su “Conferma” dichiari che il contenuto da te inserito è conforme alle Condizioni Generali d’Uso del Sito ed alle Linee Guida sui Contenuti Vietati. Puoi rileggere e modificare e successivamente confermare il tuo contenuto. Tra poche ore lo troverai online (in caso contrario verifica la conformità del contenuto alle policy del Sito).
Grazie per la tua recensione!
Tra poche ore la vedrai online (in caso contrario verifica la conformità del testo alle nostre linee guida). Dopo la pubblicazione per te +4 punti
Tutti i formati ed edizioni
Indice
Obiettivo del libro è quello di mostrare come in Europa, tra la fine del Seicento e la fine del Settecento, si impose la libertà di stampa: attraverso una delegittimazione sul piano intellettuale e un'erosione nei fatti dell'apparato di censura sorto nei paesi cattolici e protestanti durante la crisi religiosa del Cinquecento, un apparato che in queste pagine appare tutt'altro che efficace e, anzi, basato su una divaricazione fra strategie repressive e loro reale efficacia.
Analizzate le principali interpretazioni della censura (con attenzione tra l'altro alla psicoanalisi e alla New Censorship, che vi scorge un elemento inevitabile, nonché un aspetto del processo creativo), il percorso verso la libertà di stampa viene seguito innanzi tutto in Inghilterra, dalla crisi delle istituzioni di controllo durante la prima rivoluzione sino alla Restaurazione, che lasciò comunque le competenze al parlamento, quindi dalla seconda rivoluzione con la definitiva abolizione della censura preventiva (1688) ai tentativi di reintrodurla che diedero vita ad accese discussioni. In effetti, mentre nell'Europa continentale l'Inghilterra appariva la patria della libertà di stampa, all'interno non mancavano limiti (in particolare, la monarchia usava il reato di calunnia sediziosa per accusare autori e stampatori). Nel contesto inglese l'esito fu comunque il progressivo passaggio da una libertà "sfrenata" a un sistema basato sull'autocontrollo di scrittori e stampatori, secondo l'idea che la libertà di stampa dovesse essere limitata dal senso di responsabilità di ciascuno; un sistema ricostruito dall'autore anche dando voce alla riflessione di numerosi letterati, filosofi e storici (Toland, Hume, Gibbon, per citarne solo alcuni). Tra i fattori che spiegano tale esito si individuano il timore che una totale assenza di controllo potesse avvantaggiare i papisti e la nascita nel 1709 del copyright e della proprietà letteraria da parte degli autori, che favorì il sorgere di un senso di responsabilità verso i propri testi.
Notevole spazio è poi dedicato alla Francia. Da un lato si ricostruisce il dibattito sulla libertà di stampa nel mondo illuministico, tutt'altro che compatto: Voltaire non condivideva la difesa di una libertà totale, sostenuta invece da Helvétius, e l'interiorizzazione del controllo da parte dell'autore teorizzata da Rousseau era cosa diversa dalla richiesta di abolizione della censura preventiva espressa da Condorcet e Mercier. Dall'altro lato, esaminando il funzionamento del sistema di censura preventiva si porta alla luce la sua "ambiguità funzionale", legata tra l'altro al doppio ruolo di censori che erano al contempo scrittori (Fontenelle, per esempio) e caratterizzata dalla collaborazione degli autori, disposti ad adattarsi alle richieste della censura e a esercitare in tal modo forme di autocontrollo (lo mostrano, tra gli altri, i casi di Montesquieu, Buffon e la vicenda della Encyclopédie, protetta da Malesherbes, direttore della Librairie). I censori gruppo coeso appaiono all'autore garanti della libertà di stampa, per riprendere il titolo di un capitolo, portatori di un'idea di libertà "partecipata" (contrapposta alla libertà "assoluta", cioè incondizionata, prevista dal regime inglese): era una libertà "discreta", fatta di contrattazione tra scrittori e censori e funzionale all'"l'economia del libro" perché permetteva allo stato di proteggere la lucrosa attività editoriale. Questa libertà, fatta di tolleranza dei censori e autocontrollo degli autori, sarebbe il tratto saliente della censura settecentesca in Europa: si troverebbe anche nel mondo asburgico, in Prussia, in Svezia, nel regno danese-norvegese, negli stati italiani; nelle stesse Province Unite poi, ove l'assenza di una censura preventiva fu avvertita da alcuni contemporanei come libertà eccessiva, non mancarono casi di negoziazione da parte di giornalisti.
L'Europa della censura, studiata cercando di coniugare storia delle idee, storia delle norme legislative e storia delle pratiche, emerge nei suoi tratti unificanti. Non significativa sembra infatti, in questa ricostruzione, l'esistenza nelle penisole italiana e iberica di Indici dei libri proibiti e di tribunali dell'Inquisizione, pur attivi nel secolo dei Lumi. Il Settecento è un secolo di ragione ed equilibrio, e la libertà di stampa che esso garantiva, se non era completa, era certo "ragionevole". Affiora così un'immagine positiva della censura e dell'autocensura, intese quali strumenti di civilizzazione nella misura in cui esprimevano la volontà di rispettare canoni di moralità collettiva e servivano a evitare tensioni e contrasti, tenendo insieme la società, ché la censura, per riprendere le parole dell'autore, che parafrasa George Bernard Shaw, "può essere considerata certamente una forma di limitata tolleranza, preferibile alla soppressione fisica di un interlocutore sgradito".
Patrizia Delpiano
L'articolo è stato aggiunto al carrello
L’articolo è stato aggiunto alla lista dei desideri
Siamo spiacenti si è verificato un errore imprevisto, la preghiamo di riprovare.
Verrai avvisato via email sulle novità di Nome Autore