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Un ricercatore ha l’incarico di scrivere la storia degli Almoravidi, una dinastia medievale che, venuta dal Sahara, sottomette tutto il Maghreb. L’effetto è assolutamente straordinario: resuscitando il passato, la scrittura sprigiona una folla di demoni, fantasmi, ossessioni che invadono la pagina. Scavalcate le faglie del deserto e del tempo, approda nella Parigi contemporanea, l’ossuta figura di Ibn Tourmert, l’esaltato capo degli Almohadi, smarrito in un deserto moderno che appare come un’allucinazione in grado di rimescolare arbitrariamente la storia gremita di una terra senza tempo. Tahar Djaout era un berbero. Dal 1975 ha scritto numerosi romanzi. I cercatori d'osso (Les chercheurs d'os, 1984) è la storia dei parenti dei caduti nella sanguinosa guerra d'indipendenza contro la Francia alla ricerca dei resti dei loro congiunti. Seguirono "L'invenzione del deserto" (L'invention du désert), e "L'espropriato" (L'exproprié). Ha ricevuto il premio Kateb Yacine per l'ultimo romanzo, I vigili (Les vigiles, 1991): protagonista è il giovane inventore Lemdjad che si trova di fronte a una stupida burocrazia, simbolo di un potere incapace di rispecchiare e applicare i valori di una lotta che fu veramente rivoluzionaria. Il vecchio militante Ziada si assumerà colpa e ignomie non sue, per difendere l'immagine di un regime che gli richiede una fedel tà immeritata. E' stato redattore del settimanale «Algerie actualité» che a lungo era stato l'unico settimanale permesso prima della liberalizzazione della stampa, e poi della rivista «Ruptu res» (insieme a Rachid Boudjedra). Raggiunto da due pallottole mentre tornava a casa, a Bainem, a pochi chilometri da Algeri, il 26 maggio 1993, è morto dopo un coma di alcuni giorni, il 2 giugno. Aveva 39 anni. L'attentato è stato ufficialmente rivendicato dal FIS, il fronte integralista islamico.
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