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scheda di Tomasi, D., L'Indice 1994, n. 6
Dopo un interessante libro su Kubrick (Pratiche, 1990), Bernardi tenta qui un'opera di sistematizzazione e discussione dei nodi problematici dominanti il più recente dibattito teorico (il cinema primitivo, il volto umano, la modernità di Ejzenstejn, la dialettica dei punti di vista, il cinema come filosofia, le poetiche del vuoto ecc.). L'autore, tuttavia, non si limita a una pur diligente rilettura e sintesi di quanto in Europa e in America è stato scritto a riguardo - cosa che di per se è comunque un merito oggettivo del libro - ma propone a sua volta una stimolante chiave di lettura che apre una prospettiva nuova sulla materia trattata. Il punto di partenza di Bernardi è, secondo le parole dell'autore stesso, quello che vede nel cinema la presenza di "un doppio regime di rappresentazione: quello discorsivo - narrativo, attraverso cui si rappresentano storie, personaggi, azioni; e quello visivo, attraverso cui si rappresentano immagini di spazi, ambienti, volti, figure". È di questo doppio regime e delle sue forme di interazione che una retorica del cinema si deve occupare: "da una parte l'esperienza della visione e la formazione delle immagini nella mente, di cui sappiamo ancora ben poco; e dall'altra il discorso del film; che è quasi sempre narrazione di una storia". Dalle pagine del volume emerge così un filo rosso che sembra attraversare l'intera storia del cinema: quello di una sorta di educazione alla visione, ma anche di un processo che rivoluziona le caratteristiche stesse della visione. Nel primo capitolo del libro, in cui ci si occupa del cinema primitivo e dei suoi teorici, Bernardi conclude provvisoriamente scrivendo come il cinema potrebbe restituirci "in primo luogo e al di sotto delle storie raccontate, il nostro stesso atto di guardare". L'idea, dopo essere stata attentamente lavorata nel corso di tutta l'opera, è ripresa in sede di conclusioni quando si insiste su come il cinema abbia "scavato dentro i nostri occhi fino allo spasimo", sconvolgendo e forse distruggendo "il concetto stesso di rappresentazione su cui si era edificata la nostra cultura. Possiamo riflettere su che cos'era, che cos'è stato, che cosa è diventato il nostro occhio attraverso il cinema". Ed è così che il cinema moderno, da Antonioni a Wenders, da Ozu a Rossellini, a Straub, a Godard, a Kubrick, a Tarkowskij, a Syberberg, a Duras, a Fassbinder, non si limita ad allargare l'esperienza della visione, ma fa di questa il suo principale oggetto: "il senso del cinema moderno è sempre più chiaramente la visione stessa". Una visione che cerca di andare oltre il visibile per abbracciare i vuoti, le assenze, i momenti sospesi e sfocati che non lavorano più per il racconto, ma sono semplicemente dentro esso per parlarci d'altro.
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