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Anno edizione: 1994
Anno edizione: 2015
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Personalmente non un ottima edizione. Il testo vuole infatti essere un adattamento contemporaneo dell'opera teatrale di Schiller. Traduzione molto d'impatto e spinta (forse troppo) anche con l'uso di "parolacce" per meglio adattare l'opera al gergo contemporaneo (in alcuni punti azzardata, buona o, forse volutamente, troppo ma troppo esagerata)
Recensioni
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recensione di Catalano, G., L'Indice 1994, n.10
Sarebbe facile riunire in un elenco le soluzioni provocatorie adottate da Busi per la sua traduzione di "Kabale und Liebe" di Schiller Facile ma forse ingiusto, o per lo meno troppo sbrigativo. Espressioni triviali, nomi evocati con un eccesso di calco (l'ipocrita segretario o il vacuo maresciallo di corte De Vitelloni), i toni satirici dei "signorini von von" o le fumettistiche onomatopee di "tracchete" e "splaffete" appartengono al contesto di una lettura che va analizzata nel suo insieme. Busi ha tradotto Schiller per un'occasione specifica: il programma di nuovi allestimenti promosso dal Teatro Stabile Friuli-Venezia Giulia di Trieste. Alla diretta connessione con l'intento della messa in scena si lega la diffusa teatralità della versione italiana. Tuttavia, privilegiando l'immediatezza dell'ascolto, Busi inclina a una trasposizione culturale dell'opera di Schiller che non è del tutto lontana dalla zona di libertà del rifacimento. L'intenzione è quella di privilegiare ciò che viene reputato il segno distintivo del testo originale, vale a dire l'innovativa commistione di elementi tragici e comici. Perciò vengono rese più ardite le contrapposizioni, più decise le differenze, più audaci le invettive, vengono alzati i toni dei vari registri, alterata la loro stessa mescolanza, giustapposti linguaggi arcaici e linguaggi effimeri della modernità. Si ha così la sensazione di un testo che si muove costantemente sopra le righe sfiorando di continuo i limiti della parodia, della pochade, del pastiche. I molti luoghi comuni, proverbi e simili, elargiti generosamente da Busi, rientrano nell'ambito degli eccessi d'autore il quale decide già nel sottotitolo del dramma di far valere la propria voce: la lapidaria brevità della dizione di Schiller, una tragedia borghese, si è trasformata in una definizione che sembrerebbe di natura tutta ideologica, un dramma cinque atti di nobiltà vs. borghesia, riduttivo peraltro proprio in rapporto a quel miscuglio di generi a cui Busi ha attribuito tanta importanza. Gesto iniziale e significativo, questo, contraddittorio rispetto alla natura divulgativa del tascabile Bur, confermata in copertina dal brutto carattere antichizzante del titolo e dall'altrettanto brutta riproduzione di un bel ritratto di Ingres che appare però, con la centralità del suo gioco di specchi, come una proposta raffinatamente intellettuale. Il lettore italiano apprezzerà il traduttore che osa, e che aggiunge una spassosissima postilla sul destino di un personaggio misteriosamente scomparso dalla scena, ma è giusto anche sia guidato a questa impresa e "avvertito" della sua novità. Leggere oggi Schiller, rappresentarlo anzi, è l'obiettivo principale di una traduzione che, andando alla scoperta della modernità del testo non lesina attualizzazioni. E la novità di Schiller non consiste solo nell'aver unito ciò che la tradizione aveva sempre diviso, il comico e il tragico, ma pure nel sapersi distanziare da un linguaggio del sentimento che, appena aperto il varco all'esperienza soggettiva, già amava interrogarsi, riflettere sulle proprie possibilità di vita e di creazione. A questo mira, in un lungo monologo del giovane Ferdinand, la domanda retorica: "Welche Sprache wirst du jetzt führen, Empfindung?". Qui 'Empfindung' (lemma poliedrico del sentimentalismo tedesco del Settecento) è soggetto di un'invocazione e si prospetta come problema letterario e antropologico insieme. Ma Busi sembra temere a questo punto il tono troppo alto della declamazione e spegne la frase trasformandola in una prosastica comparazione: "Se questo è il linguaggio del sentimento falso, quale sarà mai quello del sentimento vero?" La levità come la virulenza non sono mai di facile trasposizione e la tentazione di dispiegare la forza concentrata e di sostanziare l'evanescenza è in agguato sempre, per ogni traduttore. Anche per il più ardito, anche per chi ha certamente saputo dare una lezione di maestria e d'ingegno.
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