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Cosa rappresentò Roma per Julien Gracq? Quale enigma storico e personale cercò di risolvere lo scrittore visitando la capitale italiana nel 1976? E come si inseriscono nell'architettura della rêverie e dell'immaginario gracquiani la città di Venezia, l'eredità classica della latinità, il barocco romano, il Vaticano, l'esoterica impenetrabilità e il violento intrigo comunale di certi spaccati storici d'Italia? Sono alcune delle domande alle quali questo libro risponde, avventurandosi in un viaggio nel viaggio: un itinerario romano ma anche un itinerario nell'universo letterario di Julien Gracq (surrealista atipico, professore di storia e geografia, intellettuale raffinato d'inizio Novecento). Un universo di identità sfumate, un mondo di frontiere - frontiere temporali, mentali e spaziali. La storiografia, umana e letteraria, soffusa di malinconia, la poesia della geografia, l'importanza della memoria personale e collettiva, che trova risonanza nei paesaggi, o nelle città che hanno segnato la maturazione dello scrittore e i momenti cruciali della sua vita: sono i fattori più caratteristici dello stile gracquiano. Elementi che erano predestinati a convergere, un giorno o l'altro, su Roma. Una Roma onirica, rimasta immobile sotto il suo imponente drappo evocativo. E una Roma concreta, spesso deludente, cresciuta male e priva di grandeur. Gracq le ha vissute entrambe, nella realtà e nell'immaginazione. E combinandole riuscì una volta di più in una potente produzione di immagini e associazioni, inedite e altamente poetiche.
Questo libro di Julien Gracq mi ha sorpreso perchè sono sicuro di non amare libri che mi raccontano di viaggi, di impressioni, di nuovi luoghi e delle solite tiritere che pretendono di dimostrarci che quello che si vede in viaggio è sempre superlativo. Aggiungo anche che cerco di evitare libri tradotti (ma questo so che è patologico!). A sorpresa "Intorno ai sette colli" non ha fatto la fine di tanti volumi rimasti incompiuti nella lettura o di altri che deliberatamente ho stabilito di non riaprirli. Ma come ho potuto arrivare all'ultima pagina e perchè? Credo che il motivo sia uno solo. Perchè l'autore non è sdolcinato. Anzi in molte pagine le sue critiche pesanti all'"italianità" quasi quasi ti fanno venir voglia di metterti a fare il campanilista. E questo aspetto non solo sorprende ma finisce col convincerti che molte osservazioni dell'autore sul modo di gestire città e paesaggi sono purtroppo verissime. Diventa così un testo che toglie dalla mente che Roma sia solo bella perchè ne mostra le. ferite. E'un libro che sprovincializza lettori come me. Arrivo all'ultima pagina e devo anche rivedere la questione dei libri tradotti. Questo è andato dritto come un treno. Praticamente mi è piaciuto molto.
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