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Concordo a pieno con Nikka: tra tanti libracci presuntuosi in circolazione questo di Marani è una piccola perla ingiustamente poco valorizzata. Sarebbe simapticissima anche un'eventuale trasposizione cinematrografica.
Originale e accattivante la base del romanzo e cioè l'analisi delle caratteristiche di ogni lingua parlata al mondo, molto ben congeniate le digressioni sul tedesco(lingua ordinata) e sul rumeno(lingua che miscela il rigore del latino con la fantasia e l'eccentricità dei popoli slavi). La trama, cioè questo tentativo maldestro di circuire le sue prede da parte del "cattivo" del romanzo..mah non è che acchiappi più di tanto, meglio i discorsi sulle lingue
Libro da leggere, anche se può lasciare un po’ perplessi. Marani scrive benissimo è profondo e acuto nelle descrizioni di personaggi e situazioni. Il clima e la trama sono surreali quanto basta per rendere il racconto affascinante e mai noioso. Si ha però la sensazione che manchi qualcosa…. Come già qualcuno ha fatto notare, sembra che l’autore non riesca a sviluppare tutto il potenziale dell’impianto narrativo.
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"Questa è la storia della mia distruzione. Di come un uomo, uno soltanto, mi abbia strappato ai miei affetti, alla mia professione, alla mia vita e portato alla rovina, in balia del disordine e della malattia che offusca la mente". Così comincia il nuovo, inquietante romanzo di Diego Marani, narratore tra i più dotati dell'ultima generazione. Come nel romanzo rivelazione di Marani, Nuova grammatica finlandese, uscito nel 2000, anche qui la protagonista è la lingua, la filosofia anzi la metafisica delle lingue umane, il mistero delle loro infinite varietà. E soprattutto l'enigma del bisogno faustiano che sempre ha ossessionato gli uomini, di poter risalire alla Lingua Prima, all'archetipo universale di tutte le lingue. Idea dietro la quale si nasconde la ben più diabolica ambizione di scoprire il segreto dell'universo, il mistero della creazione.
L'ala della follia e della dissociazione, della schizofrenia, percorre infatti, come un'ombra nera le mille peripezie dellÆInterprete. Che è un thriller d'alta classe, un gioco vertiginoso dell'intelligenza, una performance di rara intensità, con uno sfoggio magari eccessivo di abilità pirotecnica.
Il naturale talento narrativo di Marani si sbizzarrisce in un plot ricco di colpi di scena, di avventure, di sorprese, al centro delle quali c'è un io narrante, Felix Bellamy, di Ginevra, che di mestiere fa il direttore del servizio Interpretazione di un'organizzazione internazionale. Egli dirige il lavoro degli interpreti e ha a che fare con il frenetico lavoro della traduzione simultanea, con la vorticosa babele delle lingue. E ne è traumatizzato. Lui che da francofono mastica solo un po' di tedesco, deve dirigere gli interpreti, diversissimi dal suo quietismo, persone camaleontiche e tendenti per natura alla dissociazione: "Persone sofferenti, afflitte da misteriose inquietudini"; "individui gesticolanti, dalle facce esaltate, dagli occhi estraniati, che cicalavano senza sosta, passando da una lingua all'altra con acrobatica abilità...".
Fatto sta che Bellamy è costretto a licenziare un interprete particolarmente invasato, convinto che esista una lingua segreta della terra e che egli riuscirà a scoprirla, e che intanto ha dato segni di follia inserendo, nelle sue traduzioni in simultanea, parole insensate, e soprattutto emettendo fischi e squittii animaleschi.
Di qui comincia una spettacolare girandola di avvenimenti. Bellamy stesso viene contagiato dalla follia dell'interprete, anche lui comincia a farfugliare frasi sconnesse, decide di andare a curarsi in Germania da un ueurologo del linguaggio, Herrbert Barnung, che cura i malati di glossolalia con l'ipnosi linguistica e altre diavolerie. Poi la scena si sposta a Odessa e di lì in Romania e infine in Estonia dove il malcapitato Bellamy è costretto a inseguire l'interprete fischiante, e ne combina di tutti i colori, fino a diventare rapinatore ("Il Terrore della Bucovina") e a finire in carcere. Finché al termine di vicende rocambolesche ritrova l'interprete, mentre dirige in una piscina un gruppo di delfini. L'uomo e gli animali s'intendono a meraviglia, squittiscono allo stesso modo e farfugliano lo stesso linguaggio. Dunque l'interprete aveva ragione. La lingua primordiale, che accomuna uomini e animali, esiste davvero e lui l'ha scoperta. "Lo sente? Gliel'avevo detto che esisteva. La primordiale lingua acquatica che abbiamo parlato tutti e che ancora si nasconde invisibile in ognuna delle nostre imperfette lingue terrestri. La lingua di quando eravamo pesci (...) L'ho trovata! (...) Posso parlare ai delfini".
Questo sapientissimo romanzo ci parla, mescolando ironia postmoderna e inquietudine metafisica vera, della babele linguistica in cui viviamo. Ma non di lingue soltanto si tratta, la dissociazione è più radicale e riguarda l'Io, l'Io diviso e conflittuale che abita ciascuno.
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