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Il concetto di intelligenza, sin dalla Grecia antica, è carico di valenze: non ne esiste solamente una, né è possibile definirne una gerarchia. Questa evidente realtà è ancora tutt'altro che ovvia, anche perché il pensiero occidentale ha utilizzato lo scarto qualitativo con le altre specie viventi come prova dell'estraneità e superiorità dell'essere umano sul mondo animale, strutturando così la propria superba identità di specie. Il testo ci guida attraverso i modelli cognitivi evolutisi da Aristotele alla cibernetica, parallelamente indagando il ruolo del sistema nervoso come indispensabile interfaccia: l'intelligenza è una funzione della mente, frutto del sistema nervoso centrale forgiato, come qualsiasi organo, dalle pressioni selettive specie-specifiche; essa, di conseguenza, assume caratteristiche peculiari in ciascuna specie.
Uccelli e mammiferi, oltre a possedere un'"intelligenza di specie", posseggono anche altri tipi di intelligenza, in seguito alle caratteristiche di mutevolezza degli ambienti cui sono andati adattandosi. Il singolo individuo, nel corso dell'ontogenesi, continua il processo filogenetico modificando le proprie capacità mentali: ecco perché le strutture cognitive sono così diversificate sia a livello inter che intraspecifico. Oltre alla complessità intrinseca dell'indagarne la natura, c'è da fare i conti con l'inevitabile parzialità antropocentrica dell'osservatore, sia con l'utilizzo, quale principale chiave di lettura della realtà, della dicotomia. Scopriamo che paradigmi dicotomici come innato-appreso, a priori-a posteriori, per tanti anni presupposti di teorizzazioni di matrice darwiniana, perdono significato, smantellando una selva di aut-aut di difficile gestione e permettendo nuove interpretazioni delle dinamiche della selezione naturale. Infatti, geni e ambiente sono intrinsecamente legati in un continuum diacronico e interagiscono nel definire, momento dopo momento, l'individuo nella sua totalità, in un processo di elevata flessibilità, pur nei limiti delle caratteristiche della specie di appartenenza. Gli evoluzionisti più accorti, seguendo l'indirizzo dell'harvardiano Richard C. Lewontin, parlano di creazione reciproca tra organismi e ambiente.
Parlando di mente, e delle sue filogenetiche molteplicità, inevitabili sono poi le implicazioni bioetiche nel rapporto della specie umana con gli altri animali: pensiamo alla ricerca sperimentale, all'allevamento intensivo, ma anche alle potenzialità della pet-therapy, alle responsabilità umane nelle purtroppo sempre più frequenti aggressioni canine: ma anche e soprattutto al ruolo che un'unica specie, l'Homo sapiens sapiens, esercita su tutte le altre. Il nuovo e fondamentale ruolo dell'ambiente e il carattere di non determinazione del processo onto e filogenetico gettano nuova luce sul secolare dilemma della natura umana, temi cari alla tradizione filosofica (da Jean Jacques Rousseau a William Golding, autore del Il Signore delle mosche) e che pertanto testimoniano l'indissolubile legame tra scienza e cultura: cultura come prodotto dell'individuo, individuo come prodotto dell'ambiente.
Michela Santochirico ed Enrico Alleva
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