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Un buon volume, che percorre diacronicamente lo sviluppo del rapporto tra intellettuali (in senso lato: poeti, storici, retori, filosofi ma anche tecnici come ingegneri, medici, giuristi) e potere nel mondo greco e romano. I punti di forza sono molti e molti sono gli spunti forniti. La tesi di fondo è che il rapporto tra intellettuali e potere è sempre esistito, anche in forme e contesti del tutto diversi. L'interpretazione di Franco è talvolta innovativa, o per lo meno inconsueta. In particolare ho trovato illuminanti le considerazioni sul teatro di Aristofane (che non era un teatro di "antipotere" ma un teatro in cui Aristofane si fa portavoce del pubblico e non necessariamente ne condivide le idee) e sulla filosofia ellenistica, in particolare epicurea: Franco smonta il mito di una filosofia esclusivamente intimistica e mette in luce i rapporti politici che anche gli epicurei avevano col potere, contraddicendo, in parte, quanto predicavano (cfr. ad es. il caso di Epicuro che, nonostante rifiutasse di ricoprire cariche pubbliche, era in rapporto con Lisimaco). Interessante anche la parte sugli "imperatori filosofi", Marco Aurelio e Giuliano. L'unica nota dolente, a mio avviso, riguarda il primo capitolo. Qui, con una scrittura un po' contorta, Franco sostiene che se l'aedo poteva avere un ruolo politico, al contrario il suo canto poteva avere solo 2 funzioni: 1) ludica 2) formativa. Secondo Franco dunque il canto dell'aedo non poteva avere una terza funzione, quella politica e propagandistica, cosa sulla quale non abbiamo certezze (mancano le fonti) ma che pare sinceramente improbabile.
Recensioni
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Il tema del rapporto tra intellettuali e potere diceva Norberto Bobbio è antico e perenne perché tocca un problema centrale non solo della filosofia, quello fra teoria e prassi. E problematica e variegata negli esiti tale relazione fu anche nel mondo antico, come ben documenta questo libro, che ripensa alla questione con la convinzione che "la forza persistente dei classici sta nella loro esemplarità e disponibilità a essere ripensati con nuove domande". Viene ripercorso tutto l'arco dell'antichità greca e romana, dai cantori della Grecia arcaica agli ultimi intellettuali pagani del tardo impero, con attenzione speciale all'esperienza platonica, senza trascurare neppure i tecnici, medici e giuristi in particolare. Né si limita a illustrare, con scrittura nitida e non priva di arguzia, una vasta galleria di figure e opere; mette infatti costantemente a fuoco le questioni cruciali dei diversi contesti ed epoche, le principali riflessioni teoriche e le loro ricadute pratiche, sempre inevitabilmente condizionate da chi il potere lo detiene davvero. La parte sull'impero offre alcune delle analisi più interessanti: tra l'adulazione sfacciata e l'opposizione sterile, Franco illumina la scelta intermedia fatta di tante gradazioni, quella della collaborazione leale con il principe nell'interesse dello stato (esemplare il caso di Agricola), senza però che questa scelta esima da perplessità e inquietudini; Tacito, ad esempio, era cosciente che aver assistito in silenzio alle condanne ingiuste degli oppositori era già una forma di complicità. Indubbiamente, uno dei meriti del volume sta nel mettere in risalto l'inevitabilità, oltre che la problematicità, "del rapporto tra la mente che pensa e la mente che governa".
Dino Piovan
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