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Eh no! Decisamente di gran lunga inferiore agli altri film di Christopher Nolan. Noioso da farti addormentare in più punti, prevedibile dall'inizio alla fine, una vera delusione.
Remake dell'omonimo film norvegese di Erik Skjoldbaerg.I personaggi hanno più motivazioni e il gioco tra inseguitore e inseguito cerca riflessioni non banali su temi come il rapporto tra fine e mezzi,le colpe dell'inconscio,ecc...C'è un tocco di pessimismo in più,e un protagonista brillante ma non proprio integerrimo che portano il film una spanna più in alto dei soliti polizieschi di genere.Anche se alla fine da un regista come Nolan si poteva pretendere un pò di più(chi lo apprezza deve assolutamente vedere "The Prestige").Pacino,doppiato come sempre dall'ottimo Giancarlo Giannini,è impeccabile.Ma per me da qui in poi il suo talento si è fermato.Williams dal canto suo ce la mette tutta,ma dopo una vita di ruoli comici prenderlo sul serio è difficile.
Avvalendosi di Clooney e Soderbergh come produttori nonché d'un plot già edito, i fratelli Nolan sfornano il meno peggiore dei loro lavori. Sorvolando sui difetti della trama poliziesca, della recitazione di Williams e del solito stroncafamiglie assassino di bambini, per una volta il duo consanguineo regista e sceneggiatore evita le encefalitiche scempiaggini che ne caratterizzano la filmografia e (o)sa affrontare tematiche squisitamente esistenzialiste. Già dalla locandina s'intuisce la portata dell'opera: preda e predatore sono colti in chiaroscuro mentre su di loro campeggia, avvolta nella bruma, la figura d'un bersaglio umano sotto fuoco amico/nemico. È però la scena madre che imprime a "Insomnia" il massimo della significatività: il detective Dormer ("nomen omen"?), sempre più oppresso e logorato dalla consapevolezza postmoderna della triplice indecidibilità estetica, etica e teoretica, cerca d'allontanarla, esorcizzarla, scacciarla dalla psiche con l'oscuramento della sua stanza d'albergo, correlata all'ambientazione in Alaska durante lo spossante semestre di sole senza tramonto. Quando ormai gli è diventato intollerabile anche un solo spiraglio di luce e di falso, luciferino illuminismo, al protagonista non resta che provare a spegnere qualunque fonte d'abbaglio pur di sprofondare nelle tenebre dell'annichilimento coscienziale. Ma ogni suo tentativo è destinato a fallire. Ciò che il personaggio interpretato da Pacino non può evitare non è solo un semplice senso di colpa o la problematica mezzi-fini ("alla Dürenmatt", cf. Mereghetti), bensì la percezione per lui progressivamente nettissima e insostenibile di quanto tutto, "in primis" il senso di giustizia, sia più che mai indeterminabile, privo di certezza, affogato nel dubbio (alluso forse dal modo in cui viene ucciso Williams). Così decide di concludere la sua vana ricerca d'un qualche Principio saldo, sicuro, inconcusso uscendo allo scoperto, fronteggiando il proprio tormento e morendo ammazzato (come in precedenza il fidato collega).
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