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Descrizione


La paura della cancellazione ha tormentato le società europee dall'inizio dell'era moderna. Per dominare la loro inquietudine, esse hanno fissato per mezzo della scrittura le tracce del passato. Ma anche il testo scritto non è un'entità data una volta per tutte e cristallizzata: il processo di incarnazione in libro è un percorso collettivo e implica numerosi attori scrittori, copisti, librai editori, stampatori, compositori, correttori - che ad ogni passaggio manipolano e trasformano il testo iniziale. Immaterialità senza tempo del testo e labile materialità del libro sono legate da un rapporto profondo di reciproca influenza, eppure la cultura occidentale, per secoli, le ha considerate come aspetti separati. Un percorso colto e suggestivo, dai manoscritti medievali fino a Diderot e Condorcet, esplora i densi luoghi letterari in cui oggetti e pratiche della cultura scritta sono filtrati nel tessuto testuale, trasformandosi in materiale dell'invenzione creativa.
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Dettagli

2006
7 settembre 2006
XV-252 p., Rilegato
9788842077879

Voce della critica

Una prospettiva astratta, quasi platonica, separa, nella tradizione occidentale, "le produzioni e le pratiche più comuni della cultura scritta" dalla letteratura, ponendo "da una parte la comprensione e il commento delle opere, dall'altra l'analisi delle condizioni tecniche e sociali della loro pubblicazione, circolazione e ricezione". Ne deriva una sorta di idealizzazione del testo, "il trionfo di un'estetica che giudica le opere indipendentemente dalla materialità del loro supporto". Da questa constatazione prende avvio il libro di Roger Charter, i cui saggi (otto) ci mettono in contatto con autori che vanno dall'XI al XVIII secolo, dall'abate Balderico di Bourgueil a Cervantes, Shakespeare, Ben Jonson, Cyrano de Bergerac, Goldoni, Diderot e Condorcet.
Anche in questo libro, di mirabile chiarezza e intensità problematica, come in altri dello stesso autore, si riscontra un grande interesse a far dialogare ambiti metodologici diversi: la bibliografia analitica, la paleografia, la critica letteraria e la filologia. Le forme materiali che fanno da supporto fisico al testo sono uno dei fili rossi che collegano i vari saggi. L'autore ci invita a superare la prospettiva astratta che domina la critica letteraria, e a tener conto che i testi diventano libri grazie al lavoro di persone dai mestieri diversi: autori, copisti, librai-editori, stampatori, compositori, correttori. Della materialità dei testi spesso si è persa la traccia soprattutto quando si tratta di supporti che non sono stati conservati. È questa la prima riflessione che si coglie nel libro di Chartier: la necessità di storicizzare tutte le forme materiali attraverso cui un testo è stato trasmesso. L'autore, dichiarando il suo debito nei confronti degli studi di Armando Petrucci, riprende il concetto di "cultura grafica" come studio degli oggetti scritti e della pluralità degli usi di cui tali oggetti, nelle loro diverse materialità, sono suscettibili.
Il primo saggio è dedicato alle tavolette di cera che rivivono nelle composizioni poetiche dell'abate Balderico di Bourgueil, vissuto tra l'XI e il XII secolo. Sulla cera il poeta incide con uno stilo i suoi versi che verranno poi trascritti sulla pergamena. Proprio attraverso alcune poesie dell'abate-poeta si trova traccia di una pratica che prevede che la composizione sia incisa e poi trascritta. La tavoletta di cera veniva dunque cancellata, come una lavagna, per permettere di proseguire nella creazione letteraria. Tale supporto, utilizzato anche per le scritture burocratiche, resisterà fino a quando la carta non si diffonderà, costituendo un prodotto meno costoso della pergamena.
Un altro esempio letterario ci porta sulle tracce di un oggetto misterioso: è il caso del "librillo de memoria" di Cardenio di cui si parla nel Don Chisciotte. Come mostra Chartier, quasi nessuna delle traduzioni dell'opera di Cervantes ha individuato con chiarezza l'oggetto citato nel XXIII capitolo della prima parte, quando Sancho trova in un baule "un librillo de memoria ricamente guarnecido", che in una traduzione italiana è stato reso come "un taccuino finemente ornato". Nel testo rimane ambiguo il problema della materialità di tale "librillo", su cui Don Chisciotte dovrebbe, su richiesta di Sancho, scrivere due o tre volte la lettera d'amore a Dulcinea affinché non vada perduta. Vi sono parecchi elementi che farebbero pensare che il "librillo de memoria" consista in un oggetto di materiale diverso da quello cartaceo. Tuttavia la sua materialità rimane un mistero e si possono fare solo delle ipotesi. Una di queste ipotesi si trova iscritta in un dizionario spagnolo di inizio Settecento (Diccionario de la Real Academia Española) nel quale alla voce "librillo de memoria" corrisponde la seguente definizione: "Libretto che si usa portare in tasca, le cui pagine sono ricoperte di un particolare rivestimento e sono bianche; vi si include una penna di metallo (…) con cui si annota nel libretto tutto ciò che non si può affidare alla fragilità della memoria e poi si cancella in modo che tornino utili i fogli". E come esempio la stessa voce riporta proprio il "librillo" del XXIII capitolo del Don Chisciotte. Si tratta dunque di un supporto cancellabile e riutilizzabile perché le pagine erano ricoperte di una vernice che consentiva ripensamenti e ritocchi.
In un altro testo letterario si fa riferimento a un oggetto simile al "librillo de memoria": sono le "tables of my memory" che rivivono nelle parole di Amleto quando dice: "Dalle tavole della memoria cancellerò i ricordi triviali, fatui, le massime di tutti i libri, tutte le forme, le impressioni passate". Ancora una volta si è di fronte a un oggetto che si può tenere in tasca e su cui si può scrivere in piedi, senza bisogno né di calamaio né di tavolo, su cui è possibile cancellare e riscrivere sulla stessa pagina. Ma non si tratta di un'invenzione letteraria: anche in questo caso Chartier documenta, tra il 1577 e il 1628, come rivelano i rari esemplari conservati, che esistevano a Londra fabbricatori di "writing tables". Di solito le "writing tables" venivano vendute insieme "a Kalender for XXIII years" e avevano fogli ricoperti di uno strato di colla e vernice che consentiva di cancellare e riscrivere. Non fu dunque difficile per la compagnia dei commedianti di Lord Chamberlain, quella di Shakespeare, procurarsene un esemplare per la rappresentazione teatrale.
L'attenzione alla materialità attraverso cui i testi sono giunti fino a noi ha anche un'implicazione di tipo filologico. L'autore ci fa avvicinare a questo problema con un esempio particolarmente significativo: un errore presente nella prima edizione del Don Chisciotte del 1605 (Madrid, Juan de la Cuesta): nel capitolo XXV si parla del furto dell'asino di Sancho, ma nel capitolo XLII l'asino ricompare, come se non fosse mai stato rubato. Accorgendosi dell'incongruenza, Cervantes inserisce nella seconda edizione del Don Chisciotte, anch'essa pubblicata nel 1605, due brevi racconti in cui si dice che Sancho ritrova l'asino che gli era stato rubato, ma si dimentica di correggere la prima frase del XXV capitolo in cui Sancho appare sul suo asino e quindi, ancora una volta, la storia che gli era stato rubato non regge. In un'edizione successiva, pubblicata a Bruxelles da Roger Velpius (1607), l'incoerenza viene corretta, ma riappare nella terza edizione madrilena uscita dai torchi di Juan de la Cuesta nel 1608. Tale esempio ci fa riflettere – scrive Chartier – sul fatto che "i testi, tutt'altro che fissati in una ipotetica forma ricevuta una volta per tutte, sono mobili, instabili, malleabili. Le loro varianti risultano da una pluralità di decisioni o di errori distribuiti lungo l'intero processo di pubblicazione".
Emerge dal libro di Chartier un dialogo serrato tra le discipline bibliografiche e quelle storiche e l'invito a non trascurare l'importanza del "fattore umano", del fatto cioè che le variazioni del testo sono continuamente possibili dal momento che la pubblicazione è sempre un processo collettivo. Rifacendosi agli studi del bibliografo neozelandese Donald Mckenzie, Chartier sottolinea che "l'opera esiste unicamente nelle forme materiali, simultanee o successive, che le danno vita. La ricerca di un testo puro e originario, che esisterebbe al di qua o al di là delle sue molteplici materialità, è insomma inutile".
Secondo lo storico francese, una forma di astrazione è riscontrabile anche nel dibattito sulla proprietà letteraria di fine Settecento, cui dedica un denso saggio soffermandosi sulle posizioni di Diderot e Condorcet. Nella Lettera sul commercio librario (1763), Diderot sostiene la necessità dei privilegi librari come garanzia dei contratti tra autori e librai-editori, individuando una sorta di identità tra proprietà letteraria e proprietà immobiliare. Tredici anni dopo Condorcet nei Frammenti sulla libertà di stampa (1776) rifiuta l'assimilazione tra proprietà letteraria e proprietà immobiliare e vede nella proprietà letteraria un privilegio dannoso all'interesse pubblico, "un ostacolo imposto alla libertà, una restrizione fatta ai diritti degli altri cittadini". Nelle parole di Diderot si coglie un processo di astrazione dei testi, come se nel vendere il proprio manoscritto all'editore l'autore gli cedesse una proprietà "immateriale, invisibile e incorporea".
In un momento di grandi trasformazioni delle pratiche di scrittura e di lettura è di fondamentale importanza superare ogni forma di astrazione e di "platonismo", rispettando invece la storicità dei testi, le modalità, le condizioni tecniche e sociali in cui essi sono stati e sono prodotti.
  Lodovica Braida

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