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L'unica storia della scienza in Italia dal Medioevo ad oggi; un documento preziosissimo in cui si disegna il complesso intreccio tra esiti culturali ed effetti politici. Partendo dal naufragio della scienza alessandrina, si evidenziano le forme medievali, le caratteristiche del Rinascimento scientifico, le accelerazioni e promesse del seicento, i processi di marginalizzazione della scienza italiana del settecento, le speranze del Risorgimento, lo scollamento tra scienza e politica del novecento ed il "disastro" degli anni presenti.
Gli "ingegni minuti" che danno il titolo a questo libro sono il nome spregiativo che Giovanbattista Vico dà ai cultori della scienza italiani, in contrapposizione alla (sua) frequentazione della metafisica; la definizione è poi stata ripresa da Benedetto Croce, uno che si compiace di non sapere praticamente nulla di matematica, e che è poi stato un modello di ruolo per generazioni di italiani. Questo dovrebbe darvi un'idea del taglio di questo libro; Russo e Santoni hanno scritto un'opera monumentale, recuperando centinaia di nomi di scienziati italiani (rectius, che hanno operato in Italia) dal Duecento alla seconda metà del secolo scorso,e che mi erano per la maggior parte ignoti. Ma la parte più interessante del libro sono le tesi di storia e filosofia della scienza, che presumo essere per massima parte di Russo. Passiamo da un'esplicita negazione del concetto kuhniano di rivoluzione sciientifica, mostrando come la storiografia per incensare Galileo e Fermi tralascia scientemente il contesto in cui sono sorti, a una spietata analisi del milieu scientifico italiano, legato prima alla frammentazione nazionale e poi a una politica volutamente minimalista. In pratica la ricerca in Italia era al top nell'Umanesimo e nel Rinascimento perché per farla bastavano il mecenatismo dei signori locali; quando nel Settecento nascono gli stati unitari la produzione italiana si specializza in temi più individualisti e facili da gestire da soli; dopo la seconda guerra mondiale l'Italia ha perso ogni interesse alla ricerca applicata, pensando che costasse troppo, e ha man mano tolto fondi a quella pura, perché senza applicazioni non se ne capisce la necessità. Il libro si chiude insomma in modo davvero pessimista.
Il meno riuscito dei libri di Russo, in parte per l'oggettiva difficoltà ad affrontare un così ampio orizzonte temporale. Credo che il testo avrebbe avuto da guadagnare dal fermarsi prima del 900, a quel punto infatti il libro si storia finisce con il diventare un pamphlet e cambia stile e qualità. Probabilmente la scelta di rinunciare a questa parte avrebbe permesso anche di trattare più approfonditamente il periodo storico che Russo ha più nelle sue corde e gli avrebbe impedito di dare sfogo a quello che è forse il suo principale difetto, il provare un certo inconfessabile piacere a sminuire i grandi personaggi delle storia italiana, vizio italianissimo peraltro, in particolare in questo caso mi riferisco a Fermi, sul quale viene riportato un aneddoto per metterne in evidenza la tirchieria mentre non vengono neanche sommariamente riportati i risultati scientifici che ne hanno fatto uno dei più importanti scienziati del 900?! e vorrei chiarire che a me non piacciono le biografie di scienziati "agiografiche", diciamo ad usum delphini, ma solo che ancora mi sto chiedendo, riportare quel aneddoto a chi o a cosa è servito? non era meglio parlare del mare di Fermi, della statistica di Fermi, della regola d'oro di Fermi, ecc ... o se si ritiene che sia impossibile trattare certi aspetti tecnici o finire nella polemica personale non è meglio non parlare della scienza del novecento sulla quale comunque è stato scritto molto di più che su quella medioevale o moderna?
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