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Facendo il punto della ricezione italiana di Peter Weiss, nel 2000 Eva Banchelli constatava il quasi completo oblio di un autore che pure aveva conosciuto fra gli anni sessanta e settanta una notevole fortuna. La situazione non è certo cambiata. A stupire non è tanto il declino dell'autore politico-documentario fortemente impegnato, quanto piuttosto la scomparsa dalle librerie del Weiss grande narratore e drammaturgo: le ristampe del Marat-Sade e dell'Istruttoria sono l'ultimo segno di una sopravvivenza stentata, mentre sono reperibili solo sul mercato antiquario Congedo dai genitori o Punto di fuga, né si profila all'orizzonte un editore che abbia la forza e il coraggio di metter mano alla traduzione della monumentale Estetica della resistenza, il romanzo-saggio che continua ad attrarre lettori e studiosi e non solo in Germania.
Ben venga dunque questo volume, di sobria eleganza, della casa napoletana Cronopio, il cui raffinato catalogo estetico-filosofico tenta volentieri sortite nella letteratura di lingua tedesca. Sono qui raccolti per la cura di Clemens-Carl Härle quattro testi del Weiss primi anni sessanta, che avevano trovato pubblicazione nel leggendario (a suo tempo) Rapporte (Suhrkamp, 1965). Non si tratta, come annuncia con eccessiva foga la presentazione dell'editore, di quattro inediti per l'Italia, giacché la Conversazione su Dante era già stata proposta da Nello Saito in quello stesso 1965 (con il titolo Dialogo su Dante, in "Duemila"), mentre la folgorante prosa su Auschwitz La mia località compariva nella versione di Aloisio Rendi per la raccolta Critica e lotta, uscita presso Feltrinelli nel 1976 (lì il problematico titolo tedesco Meine Ortschaft era stato reso con La mia città). Ottimo comunque riproporre le due prose accanto ai novissimi, questi sì, Esercizio preliminare per il dramma in tre parti "divina commedia" e Laocoonte o Dei limiti della lingua: ne risulta un quadrifoglio di testi per nulla periferici nella produzione di Weiss.
Le due prove su Dante rappresentano tappe importanti nel vasto progetto di riscrittura ribaltata della Commedia che, seppur mai portato a compimento, costituì il nerbo della drammaturgia weissiana negli anni sessanta e confluì mutatis mutandis nell'Estetica della resistenza. Il pubblico italiano merita peraltro di poter leggere e veder rappresentato presto anche l'inedito dramma Inferno, primo tassello della progettata trilogia uscito ampiamente postumo da Suhrkamp nel 2003. La tragica odeporia di La mia località, in cui Weiss racconta il suo viaggio ad Auschwitz con il peso di una sopravvivenza vissuta come colpa e lacerata fra incombente silenzio e spinta alla testimonianza, e il lucidissimo saggio di lessinghiana memoria, d'altronde, illuminano da prospettive differenti il medesimo nodo poetologico-esistenziale per il quale Weiss aveva cercato soluzione nel poderoso gesto espressivo di Dante, come ben dimostra la chiusa del Laocoonte: "Così, passando per la disgregazione e l'impotenza, chi scrive arriva per vie traverse alla scrittura, e ogni parola con cui conquista una verità è scaturita da dubbi e contraddizioni".
Su queste tensioni fa luce la densa postfazione del curatore, cui va il merito di aggiornare il dibattito italiano grazie ai contributi tedeschi più recenti. La traduzione di Anna Pensa non è esente da sviste madornale fra l'altro, nell'Esercizio preliminare (p. 37), scambiare quattro volte in pochi versi le "visioni", di Dante, (Gesichte) con "volti" (Gesichter) , l'operazione culturale ed editoriale è però nel suo complesso da diffondere e da imitare.
(Ri)leggiamo Peter Weiss: può far male solo al nostro intorpidimento. Marco Castellari
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