Nel Castello di Kafka tutto comincia con un ponte. Ci si lascia alle spalle il nulla per l'ignoto, per un mondo che promette molto e che concederà poco, rappresentato dal richiamo di un paesaggio dai confini indistinti, un paese affondato nella neve. All'inizio del romanzo di Coetzee L'infanzia di Gesù (tradotto in italiano da Maria Baiocchi con aderenza perfetta alle precise modulazioni dei significati dell'inglese, a quella ironia insinuante e filosofica sempre presente nelle opere di questo autore) non c'è un ponte, ma un cancello. C'è però, anche qui, un passaggio dal nulla all'ignoto, che può essere interpretato come un passaggio dalla vita all'aldilà, o forse dalla morte alla vita, o da una vita ad un'altra. Parallelamente, avviene il trapasso dal silenzio alla scrittura, alla finzione. Si tratta di un'entrata poco solenne, di una "reubicazione", per parafrasare il cartello che accompagna i personaggi in questo spazio: Centro de Reubicación Novilla. L'uomo al cancello ("The man at the gate", nell'originale) introduce, in un "ufficio grande e vuoto", il signor Simón e David, un bambino che potrebbe avere cinque anni. "No, non è mio nipote, nemmeno mio figlio", si affretta a specificare l'uomo, "è affidato a me". Il vincolo di responsabilità che lega Simón a David nasce perciò libero e gratuito, eppure non è meno intenso di quello di un genitore in nome dell'amore che comporta. Novilla, il paese immaginario dove i personaggi sono destinati a vivere, in partenza da Belstar e prima di rimettersi in viaggio per Estrellita, non è però uno spazio rassicurante, ma una terra arida e inospitale come quella preannunciata da Dio all'uomo dopo l'uscita dall'Eden: "triboli e spine", lavoro duro. Simón si impiega come uomo di fatica al porto e trasporta su e giù i carichi delle navi e i sacchi di sabbia "come una bestia da soma", come Sisifo. All'inizio devono dormire al freddo e accontentarsi di crema di fagioli e cracker. Si tratta di sopravvivere, ma non basta. "Non si vive di solo pane. Non è il cibo universale", si lamenta Simón. Il suo compito è nutrire il bambino, alimentare corpo, mente e cuore di David, cercare il suo bene. Ed è in nome del perseguimento di questo bene che, dopo qualche tempo, Simón si propone di trovargli una madre, non certo la sua vera madre di cui ormai si sono perdute le tracce, ma una donna qualsiasi, che però in questa stessa casualità trova le ragioni dell'amore più grande e della responsabilità. Non sarà Elena, donna giudiziosa e un po' troppo arida, con cui Simón inizialmente ha una confortante amicizia amorosa (con cui cerca di "scongelarsi"), a fare da madre a David in virtù della sua fratellanza con il figlio Fidel, ma Inés, superba e carnale tennista, dall'aria "misteriosamente familiare". E come una vera e propria Annunciazione, benché tutta terrena e laica, figura la vicenda che accompagna la scelta di Inés da parte di Simón. Innanzitutto la donna porta "nel nome l'essenza": come variante di Agnese, il nome Inés rimanda al greco per indicare sacralità e purezza. Simón le affida David come in un vincolo sacro: "Vorrebbe considerare l'idea di prenderlo? (
) Non di adottarlo. Di essere sue madre. Essere sua madre a tutti gli effetti. Tutti noi abbiamo una sola madre. Vuole essere quella sola e unica madre per lui?". Dopo qualche esitazione, Inés accetta. Nel momento in cui comincia a giocare con David, non restano dubbi:è sua madre e lo amerà come una madre, indipendentemente dal fatto che non lo abbia partorito. Come il protagonista dell'Idiota di Dostoevskij è stato considerato un Cristo laico, così anche David incarna questa possibilità, come suggerisce il titolo e come dimostra questo romanzo rivolto a sviluppare un'indagine sull'amore, raccontato e discusso non tanto in rapporto a Dio quanto in rapporto all'uomo e alle sue infinite possibilità di manifestarsi, di illudere e di esaltare, di fallire; all'uomo come dio mancato, ma al tempo stesso come carne e sangue, costretto a misurarsi quotidianamente con la fame, con gli escrementi, con il desiderio sessuale e con la morte; con i problemi dell'educazione e dei rapporti con chiunque altro lo coinvolga in un vincolo di responsabilità e di affetto. Per i suoi genitori David è un bambino speciale, ma lo è anche per il lettore nel momento in cui comunica, con originalità e forza, i pensieri di qualsiasi bambino stimolato a riflettere sul mondo, in quella nuova città (Novilla) dove si parla spagnolo, e in cui questi personaggi sono finiti seguendo un'incomprensibile fatalità. Se, infatti, la prima parte del romanzo si svolge intorno ai bisogni che l'uomo deve soddisfare, la seconda sviluppa il dialogo di Simón con David, sui numeri e sulle lettere, sulla natura e sugli animali, e ovviamente sulla vita umana, complice la scoperta di una riduzione per l'infanzia del Don Chisciotte. È il capolavoro cervantino, letto e raccontato da Simón e di cui David vuole impossessarsi, a fare da guida alle avventure di questo bambino e alle sue intuizioni sul mondo: la lotta contro il gigante, le meraviglie della grotta di Montesinos, i dolci incanti di Dulcinea, Don Pedro e le marionette. Ma come se la caverà con un maestro che sostiene che Don Chisciotte non esiste? Del resto, anche il David della Bibbia è destinato a lottare contro un gigante, Golia. E l'infanzia, che è lo spazio in cui si convogliano le energie per diventare grandi, non è impresa tanto diversa da quella di combattere contro i giganti. Per David l'esperienza di vita si sviluppa parallelamente all'interrogazione per così dire filosofica, ma genuina, della vita stessa, tant'è che grazie a lui, e al suo interlocutore Simón, questo romanzo può essere considerato anche, al di là dell'intreccio abbastanza esile e prevalentemente simbolico, un romanzo filosofico al pari di quelli di Voltaire e di Rousseau. L'infanzia di Gesù sviluppa così meravigliosamente un'intuizione presentata da Coetzee nell'ultimo capitolo (o "Lezione") del romanzo-saggio Elizabeth Costello, non a caso intitolato Davanti alla porta (nell'originale "At the gate"). Lì la vecchia scrittrice Elizabeth arriva con l'autobus in uno strano paese e si ferma davanti a un porta sbarrata. Per entrare deve fare una dichiarazione di fede, che le risulta difficile perché il suo unico credo è la scrittura. La porta è fatta "di tek e di ottone, ma senza dubbio della stoffa dell'allegoria"; al di là di essa, per quello che si coglie da una fessura, c'è una luce, "così accecante" da stordire i sensi umani, ma non "inimmaginabile" e "non più brillante del flash continuo di una lampada al magnesio". Invischiata in confessioni e in interrogatori, Elizabeth resta al di qua della porta, anche se riesce ad immaginare il suo oltre, quand'anche fosse la visione di un cane che sonnecchia in un deserto. David invece, per gioco, indossa il mantello magico che gli promette l'invisibilità, pronuncia "abracadabra" e lascia cadere della "polvere magica" ("polvere di magnesio") sulla fiamma di una candela, e in uno scoppio di luce si brucia lievemente una mano e perde per un poco la vista, ma poi riprende con entusiasmo il suo viaggio. Quello che riusciva indispensabile ma faticoso a Elizabeth (guardare il mondo, la vita e la morte, raccontare e andare avanti) riesce con naturalezza a David, il bambino che vediamo in copertina, con gli occhiali da sole su cui batte la luce e il mantello grigio. Chiara Lombardi
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