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Non di rado, in Italia come altrove, le carceri hanno rivestito una ragguardevole funzione produttiva. Nell'introdurre questo studio assai documentato, che si sofferma dettagliatamente sull'evolversi delle prigioni nostrane durante una fase storica convulsa e complessa, nota Roberto Giulianelli che il ramo produttivo va ritenuto a tutti gli effetti una "parte vitale" dell'intero sistema carcerario. Questo anche alla luce del fatto che, nel periodo preso in esame, gli appaltatori trassero spesso un grande giovamento da tale assetto, perché a lavorare erano dei sottopagati, tali con la motivazione che già il loro stesso sostentamento costituisse un onere non da poco per lo stato, e che il debito che avevano contratto verso la società, di qualunque genere fosse, andasse estinto anche attraverso il lavoro. Tra manifatture carcerarie e colonie penali si snoda quindi una storia che tocca in più punti quella del resto della nazione, anche in momenti cruciali (ad esempio, dopo Caporetto, molti detenuti furono destinati a produzioni utili per la difesa dagli austriaci), sebbene l'autore insista opportunamente sul fatto che, per tutto il periodo preso in esame, si commise l'errore di non investire mai nella tecnologicizzazione degli strumenti produttivi da un lato e nella professionalizzazione dei detenuti dall'altro. Il libro, costruito su una gran mole di dati, che si articolano in grafici e tabelle, ha il pregio di far riaffiorare, senza retorica né approssimazioni, un vasto mondo sommerso.
Daniele Rocca
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