Henry Purcell possedeva uno straordinario talento drammatico, una dote che appare evidente nell’incredibile ricchezza di dettagli, di colori e di caratterizzazioni presente in ogni brano strumentale, aria e danza di The Indian Queen. Dalla partitura dell’Orpheus Britannicus emerge una parte per archi che non teme confronti, sulla quale si ergono i magnifici interventi delle trombe, degli oboi e dei flauti dolci. Basata su un celebre lavoro teatrale di John Dryden, The Indian Queen narra una storia tormentata che vede protagonisti i messicani, i peruviani e soprattutto la regina Zempoalla. The Indian Queen tratteggia la classica storia di amore e guerra e – come tutte le buone storie – alla fine la vicenda non si chiude precisamente come avrebbe voluto la regina. Tra i numerosi brani di straordinaria bellezza di quest’opera merita di essere citato il meraviglioso recitativo «You twice ten hundred deities for the magician Ismeron» che apre il terzo atto, che venne descritto dallo storico della musica Charles Burney come «il recitativo più bello che sia mai stato scritto nella nostra lingua». Come Mozart e Schubert, Purcell ebbe la sventura di morire troppo presto – a circa 36 anni di età – e per questo motivo The Indian Queen venne portata a termine da suo fratello Daniel. Ovviamente, Daniel non aveva lo stesso talento del più noto fratello, ma la Masque of Hymen che conclude questo disco ci permette di scoprire un autore degno comunque di essere preso in seria considerazione. Il quinto atto – l’ultimo portato a termine da Henry prima di morire – costituisce una perfetta conclusione per The Indian Queen, collocandosi artisticamente sullo stesso piano del Dido and Aeneas e dimostra meglio di qualsiasi parola quanto la musica abbia perso con la scomparsa prematura di questo giovane genio.
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