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Quel tempo che si dilata fra il prestissimo e l'eterno, fra l'attimo e l'oltre, fra l'abbozzo e l'intero, eccolo qui, stipato e insieme svanito fra le imprendibili e meditate follie di questo librino. In che terra siamo? In quella dell'Inciampo. Cioè? In quel bosco senza logica di libri accatastati e adorati, di scelte e suggestioni senza alcuna parentela fra loro, in quell'oscillare - citando Benjamin - "tra l'ordine e il disordine, tra l'illusione della completezza e la vertigine dell'inafferrabile". La presa d'atto - che in altri termini si può chiamare destino - di ciò che ha deciso una vita, l'avida dea della curiosità, il magistero dell'incanto libresco impossibile da definire in un disegno compiuto, "una vita nuova tra gli scaffali, un'anarchia sotto sembianza d'ordine" (per dirla con Aby Warburg e la sua geniale regola del 'vicinato'). Da questo caos identico a un cuscino su cui adagiare la vita parallela, forse quella migliore (o forse no), un percorso di maiuscoli amici coi quali il viaggio esalta ancor più ogni minuto trascorso: Borges, Dàvila, Twain, Falubert, Cocteau, le loro capriole aforistiche ad atterrare su un qualcosa che non può o potrà mai avere un nome solo; l'elogio di quella mente unica che fu Avraham Ben Yitzhak, autore sommo di solo 11 poesie, e davvero immenso; fino alla fucilata di John Waters che forse cuce più di ogni altro inutile sforzo ogni senso e nonsenso ad indagare il tema: "Se vai a casa di qualcuno e non ci sono libri non scoparci". Un catalogo di ombre e di pruriti, una malattia necessaria, il ricamo del più riuscito errore su una quinta già volutamente illeggibile. C'è normalità a dire questo? No. Però tutto fila e funziona per delle leggi impossibili a dire e di cui solo la gioia può spiegarne i passaggi dal pulpito scalcagnato della vita. Una biblioteca insomma come un uomo ritratto ad arte. Sogno e desiderio di "una vita semplice fra libri intelligenti" nominando mastro Dàvila e i suoi 30 mila alleati. Possibile? Chissà...
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