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A volte si è tentati di pensare i generi letterari come fossero città: metropoli, cittadine di provincia o paesi dalle vie più o meno curate, più o meno frequentate. Il racconto poliziesco e il noir, come città ricche e popolose, hanno i loro viali trafficati e le loro vie lussuose, ma, come si addice alla loro natura, hanno anche viuzze buie e fetide, vicoli malfamati e nascosti. E se quasi tutti abbiamo percorso per qualche ora le affollate avenues del poliziesco nordamericano, dei gialli francesi e del noir mediterraneo, di rado ci è capitato d'imboccare le vie che portano i nomi di Horacio Quiroga, Ricardo Piglia, Mempo Giardinelli e degli altri autori dei racconti tradotti per la prima volta per merito di Loris Tassi e Antonella De Laurentiis.
Sono quasi tutte vie di Buenos Aires, dove il poliziesco è arrivato alla fine dell'Ottocento e ha fatto fortuna quando Borges e Bioy Casares, dopo aver letto Poe, hanno indossato la maschera di Bustos Domecq. Da scaltri detective, Tassi e De Laurentiis non seguono le piste battute e ci portano sulle tracce di scrittori di razza ma poco noti in Italia, con racconti e saggi: alle pagine di Paul Groussac, Juan Sasturain, Mario Levrero, Carlo Gamerro e degli autori citati, i due curatori fanno seguire alcuni studi illuminanti, che, come perizie lette durante un processo, ci aiutano a ricostruire il senso degli indizi raccolti nella prima parte del libro. Leggendo i saggi di Ricardo Piglia e di Juan José Saer, la coltissima "conversazione con se stesso" di Loris Tassi e la storia del poliziesco argentino di Andrea Pezzé, capiamo perché il fulcro di questa raccolta e probabilmente del noir in genere siano i due liquidi che scorrono nel titolo: inchiostro e sangue. Nel racconto poliziesco scrittura e crimine sono stretti da un legame originario e indissolubile: così come letteratura e storiografia si basano sullo stesso paradigma indiziario che Carlo Ginzburg scoprì in Conan Doyle, Warburg e Freud, la scrittura dovrebbe sempre essere rischiosa ricerca di un colpevole, compromettente ricostruzione di una "verità", per quanto mutevole e incerta. I protagonisti di questi racconti sono spesso scrittori e giornalisti che, se non bagnano la penna nell'inchiostro, scelgono d'intingerla nel proprio addome sanguinante perché dove non si corre pericolo, ma si persegue ammiccando l'immediata soddisfazione del pubblico, è inutile parlare di letteratura gialla, noir o di qualunque colore ed è persino sconveniente parlare di "arte".
Impossibile, al termine di questa bella e intrigante antologia, redigere classifiche e riassumere trame; dobbiamo però cedere al fascino irresistibile di due assassini che attraversano la scena di questa Buenos Aires noir. Uno è Piglia, autore di un racconto perfetto, in cui un linguista che sbarca il lunario scrivendo di calcio (attualità del poliziesco?) decide di licenziarsi per scrivere la "verità" nel racconto che stiamo leggendo, di cui è borgesianamente autore e personaggio. L'altra figura, onnipresente ombra muta che si allunga sui marciapiedi portegni, è quella di Roberto Arlt, genio che resta ancora sconosciuto al lettore italiano. Ma è ora che mi fermi: al segugio è dato solo fiutare le tracce e indicare la via che porta al luogo del delitto. Al lettore seguire le gocce di inchiostro e sangue.
Stefano Moretti
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