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Questo è stato il primo libro di Elisabeth George che ho letto e mi ha entusiasmato a tal punto da voler leggere anche tutti gli altri e a voler scoprire le vicende dei protagonisti Linley e Havers. vale la pena di leggere ogni suo romanzo, non solo per la voglia di scoprire il killer, ma anche per scoprire il più possibile su tutti i personaggi che popolano tali romanzi. ognuno di loro è descritto in profondità e il finale è assolutamente mozzafiato. se per gli altri suoi romanzi si poteva capire chi fosse l'assassino, in questo è praticamente impossibile. fantastico!
Recensioni
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scheda di Visintin, G., L'Indice 1997, n. 7
Fino a qualche anno fa i romanzi polizieschi disponibili in italiano non superavano quasi mai le
duecento pagine, tenendosi per lo più a misura dei volumetti settimanali del "Giallo Mondadori", anche
quando comparivano in altre serie o da altri editori. Quando apparivano, le rare eccezioni, per mole e
per presentazione in formato non tascabile, venivano tenute da parte - pregustandone il prolungato
diletto - per circostanze propizie come le vacanze di fine anno. Ma ormai quasi tutti gli editori hanno
preso anche da noi l'abitudine di far uscire i romanzi d'indagine in una prima edizione cartonata,
cosicché non è difficile trovarsi di fronte a fluviali narrazioni di centinaia e centinaia di pagine, tanto nel
genere di ispirazione tradizionale inglese quanto nei vari thriller di ambiente poliziesco o giudiziario
d'oltreoceano. Per riempire le sue più di cinquecento pagine, l'americana Elizabeth George profonde
una quantità di temi che altrove sarebbero bastati per altrettante storie diverse. Preferendo, secondo il
suo solito, la Gran Bretagna alla California in cui vive, mette in scena un'aggrovigliata vicenda che
parte dal rapimento di una bambina e coinvolge aggressivi giornalisti della stampa scandalistica, una
non meno determinata deputata conservatrice, investigatori dilettanti, una poliziotta energica anche se
non troppo fortunata, e una folla di personaggi di contorno dai nomi accuratamente scelti per suonare
britannici ma - chissà perché - difficilmente memorabili. La storia e le vicende minori che vi si
intrecciano attraversano ambienti molto diversi, e in alcune pagine è palese il tentativo di misurarsi con
le maestre del genere, Ruth Rendell e P.D. James, anche se non ci si avvicina ai loro migliori risultati.
La tensione c'è, condotta abilmente anche quando tocca motivi non proprio originali, ma nel ritratto di
personaggi e situazioni l'atmosfera inglese (conversazioni, esclamazioni, gesti, cibi) è spesso diluita al
punto da risultare impercettibile. L'aspirazione a costruire una vicenda classica (fa la sua apparizione
anche una cartina dei luoghi, proprio come nei gialli di una volta) non riesce a dissipare una sensazione
di spaesamento, come quando un attore francese interpreta in un film la parte di un italiano: il
doppiaggio può essere credibile ma la mimica tradisce la differenza.
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