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Impiegati tra fascismo e democrazia. Una storia sociale-politica degli impiegati: America e Germania (1890-1940) - Jürgen Kocka - copertina
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Impiegati tra fascismo e democrazia. Una storia sociale-politica degli impiegati: America e Germania (1890-1940) - Jürgen Kocka - copertina

Dettagli

1982
1 gennaio 1982
436 p.
9788820710743

Voce della critica


recensione di Tranfaglia, N., L'Indice 1986, n. 6

Negli otto anni, dal 1973 al 1981, in cui ho diretto, con Massimo L. Salvadori, la "Biblioteca di Storia Contemporanea" dell'editore Feltrinelli, ho potuto sperimentare direttamente una realtà piuttosto amara del mercato editoriale italiano, nel settore specifico dei libri di storia. Se si tratta di storia italiana, magari recente, magari locale, un pubblico, sia pure limitato, c'è. E anche la stampa d'informazione dedica un pizzico di attenzione a quel che esce. Ma se il libro è dedicato alla storia di altri paesi, sia pure di estrema importanza e centralità rispetto ai problemi analizzati, capita quasi sempre che sui giornali non se ne parli, che nelle nostre librerie la novità proposta resti sugli scaffali, che le biblioteche pubbliche non lo acquistino. Un libro di grande importanza scientifica come il "Behemoth" di Franz Neumann sulla Germania nazista che pubblicammo nel 1977 ebbe un simile destino e altrettanto è capitato a "Impiegati tra fascismo e socialdemocrazia" di Jurgen Kocka, apparso nel 1982 nella collana diretta da Aurelio Lepre per l'editore Liguori.
Eppure l'opera di Kocka si presenta tuttora con tutti i requisiti necessari per interessare un largo pubblico di studiosi e di appassionati non solo di storia ma anche di scienze sociali. Si pone anzitutto un problema storico-politico di grande attualità negli ultimi anni: è possibile costruire una teoria generale del fascismo? Ha senso, e quali risultati produce, un confronto critico tra le vicende sociali degli impiegati tedeschi e statunitensi tra il 1890 e il 1940?
In secondo luogo, è scritto da uno degli esponenti di maggior spicco della nuova storiografia tedesca, membro della direzione di "Geschichte und Gesellschaft", la rivista storica che ha segnato negli anni settanta la nascita della storia sociale tedesca, autore da solo o in collaborazione con Wheler di saggi e provocazioni metodologiche cui da molti anni guarda con particolare interesse la giovane storiografia italiana.
Infine, la presentazione che ne ha fatto Domenico Conte, che oltre a tradurlo vi ha apposto una ricca e documentata introduzione, fornisce al lettore tutte le indicazioni e gli strumenti necessari per cogliere sia il senso complessivo della ricerca di Kocka sia le implicazioni della sua tesi di fondo sul dibattito, così intenso nel nostro paese, sulle interpretazioni del fascismo, soprattutto a livello di comparazione in Europa. Rispetto all'edizione originale, mancano nell'edizione italiana la ricchissima bibliografia e una parte dell'immenso apparato di note: ma questo, d'accordo con l'autore, per contenere il prezzo del libro e renderlo fruibile a un pubblico più largo.
L'interrogativo che sottende tutta la ricerca di Kocka solleva un problema di carattere generale e di grande rilievo per la storia dell'età contemporanea: quali sono i presupposti sociali della democrazia e del fascismo nel ventesimo secolo. Kocka affronta l'esame di quei presupposti con un'angolazione particolare, quella dei rapporti tra le classi e i ceti sociali - nel caso specifico, gli impiegati e gli operai - e nell'intento di verificare la giustezza o meno della tesi, ancor oggi molto diffusa in tutta la storiografia occidentale, di un ruolo centrale della piccola borghesia (di cui gli impiegati fanno, senza alcun dubbio, parte) nell'ascesa del fascismo, in Germania come in Italia (anche se al nostro paese l'autore non fa sostanziale riferimento, assolutizzando a torto l'esemplarità del caso tedesco ai fini di una teoria generale del fascismo). A questi fini, lo storico tedesco conduce un'ampia indagine sulla condizione politica, sociale ed economica degli impiegati americani in un periodo che va dalla prima guerra mondiale alla seconda metà degli anni trenta attraverso la crisi del '29 e il New Deal di Roosevelt e, grazie all'intelligente utilizzazione di una serie di fonti, tra cui hanno la preminenza quelle sindacali, ne ricostruisce un ritratto assai attendibile, che ricorda alcune delle pagine migliori di Wright Mills sui "colletti bianchi".
Nell'ultima parte del libro dimostra la fragilità della tesi sul nesso piccola borghesia-fascismo se applicato in maniera atemporale e aspaziale. Proprio l'analisi condotta sugli impiegati americani e la conoscenza profonda che egli ha della storia tedesca moderna e contemporanea lo portano a una precisazione importante: le differenze che si riscontrano tra la piccola borghesia tedesca (o meglio di quella parte di essa costituita dai lavoratori dipendenti) e quella americana non è spiegabile alla luce soltanto delle diverse vicende che l'una e l'altra attraversarono dalla prima guerra mondiale agli anni trenta bensì - e soprattutto - in base a fattori di lungo periodo caratteristici della storia della Germania e di quella degli Stati Uniti.
In relazione a ciò, Kocka enumera nelle conclusioni cinque motivi che sorreggono la tesi conclusiva: 1) il ruolo diverso del movimento operaio tedesco e di quello americano nelle due società; 2) l'eterogeneità etnica della popolazione americana, non riscontrabile nella Germania contemporanea; 3) le differenze tra l'uno e l'altro paese nell'intervento statale in economia; 4) le disuguaglianze esistenti nel campo della mobilità sociale; 5) il peso non comparabile assunto nei due paesi dalle tradizioni preindustriali, preborghesi e precapitalistiche. Quest'ultima argomentazione appare centrale e determinante nella tesi generale sostenuta dall'autore. "In presenza di un medesimo o simile sviluppo economico - afferma Kocka - si è mostrata una notevole variabilità internazionale di strutture sociali e ideologie e si è interpretata l'incidenza delle tradizioni derivanti dal periodo anteriore all'ascesa del capitalismo industriale e all'affermazione di un ordinamento sociale borghese come più importante fattore di spiegazione delle differenze internazionali osservabili sia nella formazione delle classi che in quella delle proteste e delle ideologie".
In altri termini - ed è quello che importa ai fini di una teoria generale del fascismo, ancora da costruire - il confronto tedesco-americano rispetto al comportamento politico-sociale degli impiegati dimostra che l'evoluzione politica non deriva rigidamente dalle fasi dello sviluppo economico, che i tratti nazionali hanno un'influenza determinante, che rispetto all'avvento del fascismo appare centrale la presenza di tradizioni "feudali".
Il problema che in Kocka resta aperto, e farà ancora discutere gli storici, è il rapporto tra fattori di lungo e di breve periodo nel cammino che conduce alla democrazia o al fascismo. Lo storico tedesco propende, come Arno Mayer e Barrington Moore, per sottolineare soprattutto i primi: ed è probabilmente una giusta reazione alla sopravvalutazione dei secondi che ha avuto corso negli anni sessanta e settanta.

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