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recensione di Gallina, M., L'Indice 1992, n. 8
Nel 1025 l'impero bizantino, arginata infine l'avanzata islamica, è nuovamente la maggiore potenza del Mediterraneo, ma non passano duecento anni che nel 1204 la sua capitale Costantinopoli cade nelle mani dei crociati. Tutto muta dunque nell'arco del secolo XI che rappresenta per la storia di Bisanzio un momento cruciale: successi spettacolari e non meno spettacolari collassi all'esterno e all'interno una cesura netta, l'avvento al trono dei Comneni, evento attorno a cui ruotano le trasformazioni politiche, economiche e culturali di una società che, sino ad allora in fermento, tende poi a rinchiudersi su se stessa sino a perdere le opportunità di rinnovamento offertele da un mondo mediterraneo in fecondo e rapido risveglio.
Nei cinquant'anni successivi alla morte di Basilio II (1025) cambiano sia la situazione sociale sia quella militare: un nuovo ceto, in veloce crescita, legato alla burocrazia dei servizi, riesce ad accedere al rango senatorio con grande scandalo dei conservatori; parallelamente l'esercito, in una situazione di pace stabile, smobilita e si trasforma da "nazionale" in mercenario. Nuovi e inattesi nemici - Turchi in Asia Minore, Peceneghi nei Balcani, Normanni nell'Italia meridionale - trovano campo aperto per scorrerie e conquiste, agevolati anche dalle inadeguate condizioni finanziarie di Bisanzio nonostante i tentativi di riforma messi in atto da Isacco Comneno. La perdita dell'Anatolia e dei possedimenti italiani, che simbolicamente la tradizione bizantina fa risalire al medesimo anno, il 1071, segna il momento più critico dell'XI secolo e al contempo quello di una nuova ripresa, sia pure a prezzo di profonde trasformazioni interne. Con la successiva ascesa al trono di Costantinopoli della dinastia dei Comneni, da un regime politico in cui il gioco sottile delle usurpazioni si esercitava, su un fondo di legittimità dinastica all'interno dell'aristocrazia civile e militare, si passa a un altro in cui il potere è concentrato nelle mani dell'imperatore e di una ristretta cerchia di congiunti. L'impero diviene un "affare di famiglia" da cui sono esclusi i lignaggi aristocratici che non hanno vincoli di sangue o di matrimonio con la dinastia regnante, così come i grandi funzionari dell'amministrazione statale. Altrettanto decisivi, e altrettanto indispensabili, sono in questi anni i mutamenti della politica bizantina nelle sue relazioni con l'estero dato che, a dispetto di una certa xenofobia presente in quella società, gli stranieri acquisiscono importanza sempre maggiore: in qualità di mercenari di mercanti e occasionalmente in ruoli politico-amministrativi dove sono trattati con rispetto non disgiunto da risentimento.
Sono questi i problemi fondamentali della storia bizantina nell'arco di tempo compreso tra la fine della dinastia macedone e la caduta di Costantinopoli nel 1204: Angold, basandosi su un'eccellente conoscenza delle fonti scritte letterarie, e parimenti di quelle legislative ed ecclesiastiche che permettono spesso di integrare e correggere le affermazioni dei grandi storici dell'epoca (Psello e Anna Comnena in primo luogo), li evoca con eleganza senza novità di particolare rilievo forse, ma in 'opera di divulgazione di alto livello scientifico la cui piacevole lettura è facilitata dall'accurata e precisa traduzione italiana.
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