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Dalla metà degli anni ottanta, l'artista jsg Boogs utilizza le sue opere d'arte per effettuare acquisti. In cambio di biglietti aerei, abiti, cene e pernottamenti in hotel, Boogs offre banconote. Ma i biglietti da 100 franchi svizzeri che utilizza recano il suo autoritratto, e su quelli da 10 dollari americani appare la sua firma al posto di quella del Secretary of the Treasury, e il palazzo della Corte suprema anziché quello del Tesoro. Disegnare banconote facilmente distinguibili da quelle vere, biglietti il cui valore aumenta, rispetto a quello nominale (e fittizio), per il semplice fatto di essere, essi stessi, opere d'arte, può essere redditizio Boggs è riuscito a finanziare acquisti per più di un milione di euro! ma anche rischioso: eppure, alle numerose cause per contraffazione intentate contro l'artista, Boggs ha reagito con azioni legali contro i servizi segreti americani, accusati di aver sequestrato centinaia di opere d'arte provenienti dal suo atelier.
Non è che uno dei più paradossali casi di money art, nonché di imaginary economics, per riprendere il titolo del piacevole saggio di Olav Velthuis, incentrato sull'idea, anch'essa immaginifica, che si possano dedurre conoscenze sull'economia conoscenze non generalmente riconosciute come tali, spiega l'autore a partire da modalità di espressione, come l'arte contemporanea, che per loro natura sfuggono al predominio del modello economicistico. Velthuis mostra come gli artisti contemporanei abbiano di volta in volta espresso una diversa soluzione al problema del rapporto tra arte ed economia: dichiarando queste ultime incompatibili, negli anni settanta (criticando cioè le dinamiche di sfruttamento insite nell'economia); esaltandone, per tramite della categoria di consumo, l'armonia di interessi, negli ottanta; contribuendo poi a promuovere, nei novanta, una "culturalizzazione" dell'economia, disposta a un'alleanza (anch'essa strategica) con l'arte; per giungere infine, una volta appurata la fine della dicotomia tra critica e ratifica (dell'economia da parte dell'arte), a rappresentare l'economia (e gli stessi rapporti di quest'ultima con l'arte) come un gioco, seppure un gioco non leggero.
L'ottimismo che a Velthuis deriva dall'emergere salutare di una dimensione ludica dell'economia così come rappresentata dall'arte contemporanea (un'economia che solo a fatica riusciremmo a prendere sul serio) è stemperato nella lucida postfazione del curatore della collana, Pier Luigi Sacco. Ma Velthuis ha il sostanziale merito di dimostrare che, per dirla con Vattimo, l'indebolimento delle leggi presunte naturali dell'economia è quantomeno pensabile: che la creatività umana si può manifestare nel prendersi gioco di quelle regole, e che il tentativo di guardare all'economia dall'esterno, fingendo (ma è davvero finzione?) di poter sfuggire al "tutto si tiene" della sua teoria, è un'opportunità da non perdere. Pensare l'economia come un gioco, e trattarla in modo ludico, è un modo per riflettere sui tanti omissis dei quali la pretesa della scienza triste di rappresentare non l'aspetto economico della condotta umana, ma ogni dimensione del nostro comportamento, sembra non curarsi; un modo per rendere l'economia più umana e, meno paradossalmente di quanto possa apparire, per poterla controllare.
Mario Cedrini
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