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Le illusioni del progresso - Georges Sorel - copertina
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Descrizione


Pubblicato nel 1908, poco dopo le Considerazioni sulla violenza, il libro affronta gli aspetti ideologici di quella che Sorel considerava la subalternità del socialismo riformista al progetto illuministico della borghesia. Sorel pensava allora all'alternativa di una cultura originale, basata sulle condizioni di vita dei produttori e tutta tesa alla lotta: alternativa a suo avviso ostacolata proprio dagli intellettuali che si sforzano di mantenere il prestigio di ideologie adatte a una divisione della società risalente all'Ancien Régime
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Dettagli

1993
XXVI-210 p.
9788833907550

Voce della critica


recensione di Sbarberi, F., L'Indice 1993, n. 7

La nozione illuministica di progresso è stata in origine uno dei bersagli preferiti del pensiero politico controrivoluzionario che, in polemica con i 'philosophes', ha restaurato un'idea trascendente di ordine e di società gerarchicamente organizzata. Poi, mentre nella Francia della Terza Repubblica l'ideologia rivoluzionaria viene celebrata ufficialmente dalla nuova classe di governo, grandi intellettuali laici come Renan, Taine e Flaubert si lasciano conquistare dalle tesi controrivoluzionarie, mettendo in discussione non solo lo "spirito giacobino", ma anche i principi dell'89. È di qui che prende avvio la 'querelle' contro l'eredità politico-culturale degli intellettuali illuministi, che alimenta sia la cultura di destra di fine Ottocento sia l'antidemocraticismo di sinistra che fa capo a Sorel. Così, dopo l''affaire' Dreyfus, mentre il socialismo francese risponde all'agitazione nazionalista e antisemita oprando per la difesa delle istituzioni democratico-liberali, Sorel deluso del fallimento della 'Révolution dreyfusienne', matura un netto rifiuto sia del sistema politico-parlamentare sia del riformismo socialista.
La "riforma intellettuale e morale" di Renan si era ispirata negli anni settanta a un "antico regime sviluppato e corretto" come quello prussiano, in cui il popolo è plasmato e disciplinato dalla religione tradizionale, ma dove l'élite è educata al culto delle forza e della libertà della ricerca scientifica. Sorel, invece, negli scritti del primo Novecento e poi nelle "Riflessioni sulla violenza" e nelle "Illusioni del progresso" recupera - in parte da Renan, in parte da Proudhon - soprattutto l'idea di separatezza della "rivoluzione cristiana", ipotizzando per la classe operaia un'etica totalmente nuova frutto della "scissione" dei produttori dal sistema di valori della classe dominante. Insomma: una nuova teoria della liberazione, per essere veramente proletaria, non poteva essere fondata sull''esprit de transaction' del socialismo riformista, ma sull'appello all''intransigeance' del movimento sindacale fondato da Pelloutier. Transazione, intransigenza: sono la espressioni, è bene ricordarlo, che il Gobetti della "Rivoluzione liberale" usa per descrivere e rifiutare le "degenerazioni riformistiche e utilitarie del socialismo italiano. E che ritornano più volte anche nel linguaggio giovanile di Gramsci. Il 'pamphlet' sulle "Illusioni del progresso" va inserito, come ha ricordato Salsano, "in un contenzioso con gli intellettuali che corre per tutta l'opera di Sorel" e che tende a sradicare dalla mente e dal cuore dei proletari l'idea che essi non saranno mai in grado, da soli, di emanciparsi politicamente e culturalmente. Per Sorel, la prima "vera dittatura" esercitata in età moderna dagli intellettuali è quella dei 'philosophes' nei confronti del Terzo Stato. A livello teorico, essi hanno sostituito all'antico pregiudizio dei cicli astrologici quello settecentesco del progresso, con la pretesa di formare degli spiriti illuminati e una democrazia che "si modelli sulla nobiltà scomparsa". Alla sua origine vi è una nozione dilettantesca ed enciclopedica di scienza, che soltanto degli intellettuali umanisti potevano coltivare. Soltanto con il liberalismo dell'età della Restaurazione la borghesia ha imparato a ragionare secondo i propri interessi di classe, ma l'ideologia del progresso non è venuta meno. Nel XX secolo, infatti, non diversamente che nel XVIII, per "i nostri democratici, come per i begli spiriti cartesiani, Il progresso non consiste affatto nell'accumulazione dei mezzi tecnici, e neppure di conoscenze scientifiche, ma nell'ornamento dello spirito che, liberato dai pregiudizi, sicuro di sé e fiducioso nell'avvenire, si è costruito una filosofia che assicura la felicità a tutti coloro che possiedono i mezzi per vivere agiatamente".
In realtà, nella filosofia della storia dell'illuminismo c'è un'idea descrittiva di progresso, che rinvia allo sviluppo della tecnica e della cultura intese come espressioni della divisione moderna del lavoro e un'idea prescrittiva, piuttosto minoritaria, che esige un'estensione generalizzata delle libertà civili e dell'uguaglianza politica. Scambiare questa seconda istanza, che costerà ad alcuni il carcere e ad altri la morte, con una filosofia edonistica per le classi abbienti e nient'altro che un espediente polemico. E anche sul concetto di autonomia occorre intendersi. Nel suo celebre saggio sull'illuminismo Kant aveva sostenuto che la vera minorità dell'uomo è "l'incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro". A questo progetto di liberazione individuale, perseguibile attraverso la politica, Marx aveva contrapposto un affrancamento per via collettiva e per successivi stadi economici. Alla dialettica della contraddizione e della mediazione di origine marxiana Sorel oppone invece la logica dell'esclusione, la presenza infinita di uno spirito di scissione introdotto nel sistema di fabbrica dall'ideologia salvifica dei produttori, che assolvono alla "missione creatrice propria della violenza". I teorici del progresso sono stati dunque contestati da un teorico della violenza di massa. Ma l'essersi mimetizzato con le forme di vita e con i propositi di lotta dell'intero proletariato non ha certamente fatto dell'ingegner Sorel un interprete Interno" della classe lavoratrice.

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