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Anno edizione: 2013
Anno edizione: 2013
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L'idea di base di questo testo è certamente affascinante, un thriller fantascientifico che ha luogo nel 2067 in Palestina con l'acqua che è divenuta il bene primario da commercializzare, con tutte le ovvie conseguenze del caso. L'inizio del libro è convincente e scoppiettante ma successivamente il ritmo cala e la storia si affloscia inesorabilmente. Peccato, a mio parere un'occasione persa.
L'idea di base è stuzzicante, ma lo stile è ultrapiatto e sciapo come peggio non potrebbe. Niente ironia, niente vivacità né invenzione linguistica, niente intelligenza tragicomica, psicologia inesistente (il rimuginare interiore della protagonista è reso in modo pedante, dilettantesco, prevedibile), descrizioni senza mai nulla di lirico o di visionario, dialoghi banali da soap opera, un noioso accumulo di fantatecnologia per ricordarci che siamo nel 2067, ripetitività irritanti (ogni mezza pagina la protagonista chiama l'embrione che ha nell'utero "la fagiolina"), personaggi bidimensionali che fanno, dicono e pensano sempre le stesse cose (il protagonista è stato folgorato "dai fianchi" della protagonista, e quindi se hanno delle effusioni lui le "bacia i fianchi" oppure le "accarezza i fianchi" - ma l'effetto non è umoristico, è solo stucchevole.) Il tutto fa pensare a una frettolosa prima stesura. Insomma, come direbbe il vecchio Bukowski, non c'è sugo, non c'è gioco, non c'è fuoco. Ma per "passare" bastavano i 5 insulsi "wow" di pagina 21. (Poi non ce ne sono più: l'autore ne aveva comprato un pacchettino da 5?) Eppure questo Gavron in Israele risulta essere una superstar (è anche traduttore, ma soprattutto, pensate un po', è capitano della squadra di calcio degli scrittori israeliani e canta in un gruppo rock - forse è per questo che gli rimane poco tempo per rifinire come si dovrebbe i suoi romanzi?), e ha sette titoli all'attivo, "tradotti in numerose lingue e acclamati da pubblico e critica". Forse questo pubblico e questi critici che acclamano sono di bocca molto buona, o forse si sono presi una sbornia... d'acqua. Però che delusione! Se questi autori sanno ideare buone storie ma poi le scribacchiano così, a livelli da quattordicenne discretamente talentuoso, perché non vanno direttamente da un produttore per ricavarne un dignitoso (tele)film? Non l'hanno capito che nel nostro secolo dalla Scrittura si pretende (SI DOVREBBE PRETENDERE!) molto di più?!
Da amante della letteratura israeliana, sono stato attratto da questo romanzo che prometteva un'inedita incursione nel campo della fs. L'espediente di proiettare la vicenda una cinquantina d'anni nel futuro consente a Gavron di realizzare quello che è forse l'incubo nazionale, ovvero la contrazione e la quasi distruzione dello Stato ad opera dei Palestinesi, vincitori del decennale conflitto. Come da canone cyberpunk, la tecnologia è invasiva e pervasiva (con tanto di chip sottocutanei) e il mondo è dominato dalle multinazionali, che hanno affermato il primato dell'economia sulla politica. La fonte di ricchezza però non sono i brevetti hi-tech, ma l'acqua, bene primario divenuto risorsa rara, soprattutto in medio-oriente. La trama 'gialla' ruota appunto intorno alla lotta per i diritti di sfruttamento di un impianto di raccolta e filtraggio. La forza del romanzo sta però nella costruzione dei personaggi, a cominciare dalla protagonista, destinata a perdere le sue certezze e a trovare una nuova consapevolezza, dove l'idealismo accetta il compromesso in un finale a suo modo sorprendente. Il confronto tra individuo e comunità, la memoria e la nostalgia sono i temi sottesi a un racconto che intreccia diversi piani temporali e cattura felicemente il lettore.
Recensioni
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