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Le modalità derazzializzate attraverso cui si esprime il nuovo razzismo sono effettivamente diverse dal vecchio ed esplicito razzismo? Secondo lo psicologo sociale Michael Billig, anche negli anni più duri della segregazione razziale nel Sud degli Stati Uniti, gli atteggiamenti razzisti assumevano in realtà toni nascosti o, meglio, si cercava di rendere "socialmente" accettabile il pregiudizio. Lo stesso Allport rilevava che "quando sussiste un chiaro conflitto tra la legge e la coscienza da un lato, e le usanze e i pregiudizi dall'altro, la discriminazione viene praticata principalmente in modo coperto e indiretto". Le ricerche di van Dijk hanno da tempo messo in luce le strategie discorsive utilizzate per negare e affermare contemporaneamente il pregiudizio. Il suo lavoro, oltre a evidenziare gli schemi narrativi abitualmente utilizzati dagli attori per giustificare opinioni negative nei confronti delle minoranze straniere, mette in luce come nel caso di persone istruite il discorso sia maggiormente vigilato e l'autorappresentazione e l'autodifesa dominino le rappresentazioni negative degli altri. L'espressione classica del razzista democratico che argomenta anticipando il fatto di non avere pregiudizi, per poi giungere a rimarcare dei comportamenti negativi privi di riferimenti razziali, può rientrare perfettamente nella tipologia del razzista "aversivo" o "simbolico". Di fatto, la condanna generica del razzismo è un valore talmente generale da essere condiviso dallo stesso individuo razzista old-fashioned. Nella prospettiva retorica di van Dijk, dunque, il mascheramento dei sentimenti negativi nei confronti delle minoranze e degli immigrati rappresenterebbe la normalità del razzismo piuttosto che la novità.
Francesco Cassata
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