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Anno edizione: 2008
Anno edizione: 2012
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La tesi molto innovativa del saggio è che nell'islam esiste una dimensione del politico che, pur senza essere svincolata dalla religione, gode di una sua autonomia. Non vi è identità di religione e politica poiché Dio è la fonte del potere, ma non esiste un'istituzione religiosa che possa fare da contraltare all'autorità pubblica. Non vi è una fonte dogmatica nell'islam poiché ogni giureconsulto è uguale agli altri e non esiste nessuno che possa ergersi al di sopra degli altri. L'islam è definito impropriamente una religione, ma è in realtà una visione del mondo ed è teocentrico e non teocratico, come si afferma spesso. Nel pensiero politico islamico non esiste un'utopia alla Bloch nel senso di ciò che non esiste ancora, ma un'"utopia retrospettiva" rivolta alla comunità mediana del profeta Maometto e ai califfi ben guidati. Questa costruzione è frutto di un'elaborazione degli ulema, i quali, per proteggersi dal potere che, con il califfo Al Mamun (813-833), tentava di mettere in dubbio la loro autorità, mitologizzarono il passato per opporsi alla politica del presente. Gli ulema sunniti separarono così il potere religioso da quello politico, legittimando i sovrani. Non essendoci una teleologia orientata al futuro, il modello di stato islamico appartiene a un passato che non si può rifare poiché l'epoca d'oro del profeta e dei califfi è terminata. La conclusione di questo ragionamento è che quando si tenta di riprodurre uno stato islamico si produce soltanto un modello di stato islamico. Anche nel caso iraniano non si può parlare di una teocrazia, visto che esistono istituzioni a legittimazione popolare come il parlamento (seppure dotato di poteri minimi) e la stessa guida suprema, pur eletta a vita come il papa, può essere sfiduciata dal consiglio dei saggi, contrariamente a quanto avviene al santo padre, che non può essere sfiduciato da nessun conclave.
Paolo Di Motoli
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