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Anno edizione: 2012
Anno edizione: 2010
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Di questo libro mi parlò alcuni anni fa un mio amico, che mi incuriosì, mi colpì e mi convinse con la teoria di Galli Della Loggia secondo cui l'Italia - sotto il profilo della geografia, della storia, della mentalità, delle comunicazioni - non si divide solamente fra Nord e Sud, ma anche (se non soprattutto) fra Est e Ovest. Essendo io marchigiano della provincia di Ancona, ho spesso sperimentato quanto c'è di vero in questa affermazione, vista la relativa facilità di raggiungere dalla mia zona (e di intrecciare relazioni di studio, lavoro, turismo con) chi abita sul versante adriatico da Venezia a Bari, e la assoluta difficoltà di fare altrettanto con chi vive ad appena 150-200 km in linea d'aria ma al di là dell'inesorabile barriera appenninica. In realtà il libro (che ho finalmente letto), pur prendendo le mosse da considerazioni di carattere geografico e ambientale, va molto al di là di esse e, nell'arco di non moltissime pagine (ma comunque acute e pregnanti), rintraccia una ad una le ragioni, le conseguenze, i nodi nevralgici, le virtù (poche) e i vizi (troppi) dell'identità "plurale" del popolo italiano, della mancata appartenenza ad una "res publica", del peso della tradizione intellettuale e della classe politica più a sfavore che a favore del senso dello Stato, delle responsabilità (non sempre e non solo negative) della religione cristiano-cattolica e della Chiesa. Ciò con uno sguardo capace di abbracciare almeno 20 secoli di storia della penisola e senza rinunciare a sottili confronti con quanto è accaduto e accade oltralpe. Una lettura dunque assolutamente utile e consigliabile, a cui avrei dato il massimo dei voti se non mi fosse stata un po' d'inciampo - ma ammetto che magari è un mio limite di gusto - la sintassi troppo ampollosa e "ciceroniana" dell'autore, il quale ha un bel rimproverare i letterati nostrani di essersi storicamente chiusi in una élite intellettuale scarsamente aperta alla modernità (specie a quella tecnico-scientifica) ma che finisce poi per farne proprio lo stile di scrittura.
Indispensabile lettura per tutti coloro che vogliono sapere cosa sia l'identità nazionale e quanto questa sia conculcata nel popolo italiano. Semplicente non c è. Per tutte le motivazioni esposte nel testo dal Prof. Galli Della Loggia. L'unità di popolo che si percepisce sugli spalti e sulle tribune di qualsiasi competizione sportiva non è quella identitaria del popolo italiano che, purtroppo, non ha ancora una 'memoria condivisa'. Il libro ci dice che tale identità non può prescindere dall'accettazione di un passato storico i cui protagonisti, non sempre, hanno operato per l'affermazioni di interessi collettivi nazionali. Non poche volte, in un recente passato, si è operato con spirito fazioso ed antitaliano da parte di coloro che hanno rappresentato il nostro Paese. Vera e soprattutto storicamente documentata quest'opera non convenzionale nè semplicistica farà male a coloro che sono convinti che la verità storica sia quella raccontata nei manuali scolastici ai giovani d'oggi. Indispensabile per riordinare i nostri pensieri depurandoli dalle scorie inutili dell'ortodossia politica dei partiti nazionali. I quali hanno, da sempre,la responsabilità di aver dopato la nostra società di cattiva e troppa politica e poco Stato. Lettura necessaria.
Leggere questo libro è proprio un dovere per coloro che sono affascinati dal nostro carattere nazionale e per quelli che vogliono capire perchè siamo fatti in un modo e non in un altro.
Recensioni
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Chi abbia seguito anche solo distrattamente l'ampio dibattito che in questi ultimi anni si è andato svolgendo intorno ai temi della nazione e della coscienza nazionale italiana difficilmente potrà sottrarsi a un moto di sorpresa e nel contempo di curiosità nell'accingersi alla lettura del recente libro di Ernesto Galli della Loggia su L'identità italiana. Come infatti molti ricorderanno, in quel dibattito Galli della Loggia era già intervenuto non molto tempo fa sostenendo che di una tale identità, intesa quanto meno come "identità nazionale", non aveva più senso parlare dopo i drammatici eventi che avevano segnato la storia del nostro paese tra l'8 settembre 1943 e il 25 aprile 1945. In quegli anni terribili - questo, in sintesi, l'argomento centrale del suo saggio su La morte della patria, pubblicato da Laterza nel 1996 - si era consumata una crisi radicale dell'"idea di nazione" che, lungi dal ricomporsi negli anni successivi, aveva al contrario continuato a gettare la sua ombra funesta sull'intera parabola della storia repubblicana, privando così il sistema politico sorto all'indomani del secondo conflitto mondiale di una "risorsa di legittimazione" decisiva per l'esistenza stessa di un'autentica e vitale democrazia pluralistica. Il tutto con effetti devastanti sulla vita politica e sullo spirito pubblico dell'Italia dell'ultimo cinquantennio. In una tale situazione, scriveva allora l'autore polemizzando soprattutto con le interpretazioni della Resistenza formulate da Gian Enrico Rusconi (Resistenza e postfascismo, il Mulino, 1995) e da Pietro Scoppola (25 aprile. Liberazione, Einaudi, 1995), nessuna "elaborazione critica e solidale della memoria" avrebbe mai potuto occultare il vizio d'origine della costruzione repubblicana né, tanto meno, generare per incanto quel legame identitario che la storia stessa non era riuscita in alcun modo a produrre nel corso di mezzo secolo: "Perché essa [la Resistenza] potesse svolgere quel compito di integrazione democratico-nazionale che oggi si richiede da lei (...) sarebbe stato necessario che essa - non oggi, ma cinquant'anni fa - fosse stata una cosa diversa da quella che fu". Vale a dire, per l'appunto, il gelido e tetro sepolcro della "patria", di ogni vincolo di appartenenza a una medesima comunità nazionale, della possibilità stessa per gli italiani di essere una nazione. Per vari aspetti si poteva ritenere che una diagnosi così radicale e senza appello si prestasse assai poco a ulteriori sviluppi. A ben vedere, tuttavia, proprio nella minuziosa perizia necroscopica di La morte della patria rimanevano aperte due questioni cruciali. Innanzitutto, la questione di che cosa fosse precisamente morto nella "guerra civile" che si era scatenata tra l'armistizio e la Liberazione, di quale fosse cioè, prima del 1943-45, la natura e la consistenza specifica di quella "nazione italiana" destinata a un così tragico e irrevocabile naufragio. In secondo luogo, la questione di come si potesse ancora immaginare un futuro possibile per la coscienza nazionale degli italiani e, con essa, per la loro stessa convivenza civile e politica. È questa, ci sembra, la duplice strada che da La morte della patria conduce fino a L'identità italiana: non solo al libro di cui dobbiamo ora parlare, ma anche e più in generale al progetto dell'omonima e assai pregevole collana di studi che la casa editrice il Mulino ha inaugurato pochi mesi or sono sotto la direzione dello stesso Galli della Loggia e nel solco tracciato dal suo "libro-manifesto". Nonostante questo pur importante elemento di continuità, L'identità italiana è tuttavia un libro molto diverso da La morte della patria: sia nel suo oggetto sia, almeno in parte, nel suo quadro concettuale e nelle sue stesse conclusioni. Colpisce, innanzitutto, il fatto che in esso non compaia alcun accenno significativo al tema della "morte della patria". Uno dei suoi argomenti fondamentali è, anzi, che in Italia una vera e propria "patria", vale a dire una moderna identità nazionale sentita e vissuta come tale, in realtà non sarebbe sino ad ora mai sorta, quanto meno in forma compiuta e conseguente. Si tratta, naturalmente, solo di un'enfasi diversa rispetto a La morte della patria. Anche qui, infatti, Galli della Loggia aveva rilevato come la "morte della patria" altro non fosse che l'ultimo tragico atto - in un certo senso il prodotto e l'espressione - di una debolezza strutturale del sentimento nazionale italiano. Il fatto che ora, tuttavia, proprio quell'ultimo tragico atto non venga più registrato è estremamente significativo. E ci avvicina all'elemento realmente nuovo di L'identità italiana. Nel testo del 1996 Galli della Loggia aveva ricondotto con grande chiarezza la fragile costituzione dell'identità nazionale italiana all'altrettanto fragile costituzione dello Stato sorto nel 1861 a conclusione del processo risorgimentale. E ciò in base alla tesi - da molti condivisa - secondo cui in Italia la nazione, lungi dal preesistere allo Stato, ne sarebbe invece una creatura. Il medesimo argomento ritorna, ulteriormente aggiornato, articolato e specificato, in L'identità italiana. Qui infatti alla radice stessa della debolissima identità nazionale italiana viene posta in primo luogo una "storica assenza di Stato", intesa per un verso nel senso della secolare e sempre deplorata assenza di uno Stato unitario e per un altro verso nel senso di un'assenza mai risolta di una dimensione forte della statualità, di un'autentica cultura dello Stato nutrita al tempo stesso di civismo, che avrebbe caratterizzato l'intero svolgimento della storia post-unitaria. In questo vuoto pericoloso e drammatico - scrive Galli della Loggia - avrebbero finito per prevalere i tenaci particolarismi della società e della politica, che avrebbero poi reso impossibile la formazione e il consolidamento di una moderna e genuina coscienza nazionale. A differenza di quanto avveniva in La morte della patria, tuttavia, questo decisivo nesso tra Stato e nazione viene ora inserito in una più ampia riflessione sulla "identità italiana". La quale non coincide affatto - nello schema di Galli della Loggia - con l'"identità nazionale italiana", ma costituisce per così dire il presupposto storico di una tale identità, il complesso di esperienze, di memorie, di caratteri e di destini che, attraverso l'opera di uno Stato degno di questo nome, avrebbero potuto (e potrebbero ancora) generare e consolidare una moderna coscienza nazionale. In questo nuovo quadro, alla storia di brevissima durata del biennio 1943-45 subentra una prospettiva di lunghissimo periodo che, a partire dall'analisi dei molteplici condizionamenti esercitati dalla grande varietà dei quadri geografici e ambientali della penisola, si snoda poi attraverso una vicenda millenaria che ha le sue matrici fondamentali nell'eredità della civiltà romana, nel retaggio cristiano-cattolico e nella storia della Chiesa, nell'esperienza decisiva delle "mille Italie" dei comuni cittadini, nella tenace persistenza del potere sociale della famiglia, nella dimensione tipicamente oligarchica della vita politica, economica e sociale e, ancora, nella già citata "assenza storica di Stato". Ne deriva il profilo di una "identità italiana" straordinariamente ricca e complessa, frutto di un'amplissima e caotica molteplicità di apporti e contaminazioni, modellata da contrasti e contraddizioni talora laceranti, ma in ultima analisi profondamente unitaria. "Ci sono tante Italie", scrive Galli della Loggia nelle pagine finali del suo libro. "Ma è pur vero - aggiunge subito dopo - che esiste un'Italia, che esiste una realtà e un'unica idea d'Italia, che tiene insieme e comprende tutte le altre". Il paradosso - e il dramma - della storia del nostro paese è che una tale identità non ha mai potuto assumere una forma moderna, non ha cioè mai potuto tradursi in una vera e propria identità nazionale. Non tutto è perduto, tuttavia. Perché, qualora si abbiano quello Stato e quelle classi dirigenti che sinora ci sono mancati e qualora si sappia scrutare e comprendere il senso profondamente unitario della nostra storia, potrà finalmente sorgere "quella patria italiana che ancora ci manca". È a questo arduo e straordinario compito di "invenzione della tradizione" - "rendere visibile ciò che è nascosto, riuscire a comporre la sfaccettata, molteplice realtà delle molte Italie in un volto solo", scrive Galli della Loggia - che L'identità italiana in quanto libro e in quanto collana si propone di contribuire.
recensioni di Tuccari, F. L'Indice del 1999, n. 02
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