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Montefoschi è forse l'ultimo degli autori italiani "classici". Intenso, raffinato, allusivo commovente. La descrizione del paesaggio,spesso una Roma d'agosto deserta e struggente, è la cifra dell' emotività dei personaggi: una malinconia senza speranza, un senso di perdita che annichilisce, strade solitarie percorse per forza d'inerzia, un bisogno inappagato di assoluto che si manifesta nei temi prediletti, l'amore e la morte. Montefoschi ha la capacità di generare nel lettore un processo di immedesimazione nei personaggi,una partecipazione trepida e viva, una sofferenza vera. Il ritmo lento, la ripetizione ossessiva di circostanze, nomi,luoghi, strade, atteggiamenti,l'attenzione minuziosa e insistita ai gesti minimi, non è altro che il ritmo della nostra vita e conduce il lettore a vivere in tempo reale la vicenda, a condividere, quasi trattenendo il fiato, l'angoscia, la tenerezza, il rimpianto. La vita è scandita da infinite ripetizioni che la rendono pesante e opaca, specialmente se siamo privati di chi potrebbe darle luce e levità. I libri di Montefoschi li ho letti tutti e ho atteso ognuno con ansia ed emozione.
Questo romanzo è un inno all'amore coniugale.A quell'amore che spesso si dà per scontato, a volte addirittura finito, e che poi è pronto a riemergere quando il destino disegna un percorso inaspettato. I personaggi sono delineati in modo che è impossibile non identificarsi in loro, assumendo volta per volta un sentire diverso. Solo un paio di perplessità stilistiche: l'uso dei due punti, l'articolo 'i' davanti a 'pneumatici' (due volte!) e un uso sovraesteso, a mio parere, di 'codesto'. Per il resto, l'ho letto in un fiato, entrando nella vita di Paolo Diamanti.
Giorgio Montefoschi in questo libro, come anche nel precedente La casa del padre, descrive Roma ed i paesaggi laziali così minuziosamente da avermi fatto sentire nuovamente cittadino della Capitale.
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