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Senza alcun dubbio la migliore biografia di Hitler che sia mai stata scritta. Quella di Bullock, pure eccellente, è troppo stringata, quella di Fest è francamente illegibile, quella di Irving (mi riferisco a Hitler's War del 1977) è incentrata solo sul periodo 1933- 1945 quindi non è completa. Peccato che sia ormai fuori commercio, occorrerebbe un' edizione tascabile.
Meraviglioso. Con il primo volume (1889-1936) costituisce un'opera colossale di Kershaw. Insieme alle biografie di J. Fest e A. Bullock costituisce tutto il meglio in circolazione per lo studio di Hitler a 360 gradi.
Recensioni
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Dopo la pubblicazione, due anni fa, del primo, si chiude con questo imponente secondo volume la grande biografia di Hitler, opera dello storico britannico Ian Kershaw. Formatosi come medievista, all'inizio degli anni ottanta questo brillante e infaticabile ricercatore si è "riciclato" nella storia contemporanea, mettendosi in luce con una serie di magistrali studi sulla Germania hitleriana. Da una prima monografia sul "mito di Hitler" (pubblicata con lo stesso titolo da Bollati Boringhieri nel 1998) a un approfondito studio su consenso e dissenso in Baviera (non tradotto in Italia), a una rassegna storiografica molto ricca e intelligente (Che cos'è il nazismo? Problemi interpretativi e prospettive della ricerca, Bollati Boringhieri 1995; cfr. "L'Indice", 1996, n. 4), a un saggio (Hitler e l'enigma del consenso, Laterza, 1997; cfr. "L'Indice", 1997, n. 10), che - in termini assai più sintetici - rappresenta una sorta di prova generale della biografia in due volumi qui presa in esame, si può dire che il percorso di ricerca di Kershaw si sia imperniato con grande coerenza sull'intreccio fra potere carismatico del dittatore e contesto sociale.
La grande biografia appena conclusa rappresenta - si può ben dire - il culmine di tale progetto. Essa cerca infatti di mettere in stretta relazione la personalità del dittatore, tutto preso dalle sue certezze ideologiche, con il contesto sia largo (la società tedesca) che più ristretto (il partito nazionalsocialista). Mi pare che complessivamente il tentativo sia ottimamente riuscito. Kershaw riesce a far interagire con grande efficacia e in modo convincente il "suo" personaggio con il mondo che lo circondava, le decisioni personali con le problematiche generali. Discute perciò di "combinazione di impulsi personali e sovrapersonali", mettendo altresì in evidenza come le fissazioni ideologiche del Führer si combinassero - almeno fino a un certo punto - con gli interessi e le aspettative di sezioni significative delle vecchie classi dirigenti e del popolo. Da questo punto di vista, la biografia è totalmente immune da quell'esasperato biografismo (o psicologismo) così diffuso nell'ormai sterminata letteratura storiografica su Hitler. Decine e decine di studiosi d'ogni risma si sono impuntati a individuare in specifici elementi psicologici, o psicopatologici, la chiave di lettura di Hitler e del suo ruolo nella storia. Esempio ultimo - e davvero estremo (ma con un buon successo nelle vendite!) - il libro di Lothar Machtan, Il segreto di Hitler (Rizzoli, 2001), che si incentra sulla presunta omosessualità giovanile di Hitler, per spiegarne la misteriosa personalità.
Kershaw, che risente fortemente della lezione metodologica di Martin Broszat, storico prematuramente scomparso e per molti anni direttore dell'Institut für Zeitgeschichte di Monaco, fin dal primo volume è sfuggito a questo limite, impostando una ricerca a tutto campo che tiene in equilibrio il singolare con il generale e fa fruttare al meglio la sua più che ventennale conoscenza degli archivi e della letteratura (come attestano l'apparato delle note e le quaranta pagine fitte di bibliografia). D'altro canto, Kershaw non nasconde i limiti delle sue (e generali) conoscenze su molti aspetti non secondari (ad esempio in merito alle decisioni relative allo sterminio degli ebrei); non si esime dall'uso di condizionali e di molta cautela quando la documentazione non gli consente valutazioni più univoche e decise.
Kershaw si concentra soprattutto sul ruolo delle forze armate e analizza il difficile e vieppiù aspro rapporto fra Hitler e i suoi generali in modo estremamente analitico e dettagliato. Questa attenzione è certo giustificata dal fatto che gran parte delle vicende trattate in questo secondo volume sono di natura militare e che, con lo scoppio della guerra, Hitler concentrò tutte le sue energie nella guida del suo poderoso esercito in una megalomane serie di attacchi e di conquiste. Tuttavia, non si può fare a meno di rimarcare come, invece, il ruolo dei centri di potere economico sia lasciato quasi completamente in ombra; e ciò forse non corrisponde appieno alla realtà del Terzo Reich in guerra.
Kershaw mette l'accento sulla rilevanza dei fattori ideologici nell'influenzare le decisioni di Hitler, ma allo stesso tempo si serve con grande intelligenza della categoria del "lavorare incontro al Führer", adottata fin dal primo volume della biografia. È questa un po' la chiave di volta interpretativa di Kershaw e mi pare che sia in grado di individuare adeguatamente in che modo, per quali ragioni l'apparato del regime e dello stato, pur lacerati da insanabili contrasti interni, continuarono a funzionare fino alle ultime settimane di guerra, quando da tempo era evidente che tutto era perduto. Questo meccanismo analitico viene usato da Kershaw soprattutto per spiegare la politica militare del Terzo Reich, nonché lo sterminio degli ebrei; questi sono i due temi che campeggiano nel volume qui recensito. Minore spazio hanno la politica estera e quella economica. Molto attento, invece, è lo storico inglese alla questione del consenso. Incessantemente egli ribadisce che il consenso, ottenuto anche attraverso gli strumenti raffinati della propaganda goebbelsiana, è una componente fondamentale per spiegare non solo la vicenda del nazionalsocialismo, ma, in modo specifico, i comportamenti di Hitler. Questi, infatti, si sentiva vieppiù incoraggiato a perseguire i propri obiettivi ideologici proprio dall'ampio consenso di cui godeva nel popolo tedesco. È sintomatico - mi pare - che le ultime righe del libro siano dedicate a riprendere ancora una volta questo tema: Hitler come "principale istigatore", certo, ma godendo di "ampia complicità del corpo sociale a tutti i livelli".
È davvero un libro corale, in cui Hitler viene collocato con il peso determinante che gli compete all'interno del contesto senza il quale la sua parabola storica sarebbe inspiegabile. Occorre aggiungere, peraltro, che da buon inglese Kershaw non ha dedicato particolare spazio a teorizzazioni metodologiche astratte, ma ha lasciato che la sua vena narrativa si esprimesse pienamente. La narrazione procede perciò per grandi campiture, ovvero per grandi questioni, rispettando l'andamento cronologico, ma senza scadere nel cronachismo. Tali campiture sono inframmezzate da nitidi approfondimenti sui nodi cruciali agli occhi dell'autore: dalla "notte dei cristalli" (primo, clamoroso scoppio di violenza generalizzata contro gli ebrei nell'ottobre 1938), a Stalingrado, al complotto dei generali con il fallito attentato del 20 luglio 1944, fino alle ultime settimane nella Berlino attaccata dall'Armata Rossa. Il ritmo del racconto subisce così accelerazioni e rallentamenti, anche se tende generalmente a decrescere a partire dalla fine del 1942, quando le fissazioni ideologiche di Hitler iniziano a confliggere aspramente con l'andamento negativo della guerra e con aspettative e interessi di una larga parte della popolazione. Oltre quattrocento pagine del libro sono dedicate agli ultimi due anni di guerra.
Spiace che il fluire narrativo non sia sempre pienamente assecondato dalla traduzione. Indubbiamente, non è facile tradurre un libro monstre come questo, ed è presumibile che (come spesso accade) l'editore abbia avuto fretta di far uscire il volume. Ma, considerato il costo di quest'impresa editoriale (gli inserti fotografici, le cartine, un ottimo indice analitico), ci si sarebbe potuti attendere una revisione più accurata della traduzione; molti sono i refusi e gli errori (frequente il contrasto fra soggetto al singolare e verbo al plurale); gran parte delle traduzioni dal tedesco (con originale fra parentesi) sono palesemente errate o imprecise. Infine, il traduttore mi sembra avere una particolare predilezione per l'allocuzione: "a questa altezza di tempi" (sta per: a questo punto, in questa fase ecc..), ripetuta decine di volte. Francamente, mi chiedo se esista in italiano!
Ma queste osservazioni a margine non inficiano in alcun modo lo straordinario valore dell'opera. Con queste 2.350 pagine credo davvero si possa dire che Kershaw abbia scritto una biografia "definitiva" su Hitler, venticinque anni dopo quella di Joachim C. Fest (Hitler, Rizzoli 1976) e quasi mezzo secolo dopo quella di Alan Bullock (Hitler. Studio sulla tirannide, Mondadori 1955). Una biografia che è allo stesso tempo uno studio molto ricco e approfondito sulla Germania in quel periodo così ricco di tragedie e di barbarie per l'intera Europa. Mi sia permesso, infine, un confronto con la situazione della letteratura biografica su Mussolini in Italia: il mastodontico lavoro di Renzo De Felice, paragonabile con questo di Kershaw, consta di oltre settemila pagine; è però incomparabilmente meno organico e meno equilibrato. Senza nulla togliere al merito della trentennale fatica dello storico reatino, il suo Mussolini rappresenta forse più un inciampo e un freno per la realizzazione di studi biografici che siano leggibili e ben costruiti, e che non rischino di restare negli scaffali (intraducibili fra l'altro, mentre i due volumi di Kershaw sono stati già tradotti nelle principali lingue del mondo), buoni solo per polemiche giornalistico-politiche.
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