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Anno edizione: 2013
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Bel libro, interessante ma discontinuo.Inizia in maniera folgorante ma poi si siede un po', diventa ripetitivo o almeno ridondante nell'intento di risultare omogeneo. Forse con il punteggio lo sto un po' punendo per essermi annoiata sul finale.
Libro molto singolare che mette al centro della narrazione il modo di fare, i comportamenti e soprattutto il pensiero di tre grandi donne del Novecento: Hannah Arendt, Simone Weil e Rachel Bespaloff. Il filo comune che lega queste grandi personalità, nonché menti illuminate del secolo scorso, è stato il combattere i totalitarismi ed elaborare riflessioni molto profonde a riguardo delle donne, sulla guerra, e della gestione del potere. L'autrice è abile a tracciare un quadro psicologico e comportamentale ben preciso e delineato di tutt e tre le protagoniste. Rachel è la più misteriosa delle tre, si nutre di libri, scrive continuamente e si sente chiamata a rispondere di tutto ciò che accade intorno a lei e di tutto quel che legge. Hannah è la più sfrontata e anche la più conosciuta, scrive e riflette sempre a testa alta. Poi c'è Simone, quella che mi ha colpito di più, per profondità di pensiero e x spirito di sacrificio, è intransigente e radicale vive fino in fondo tutto il malessere degli anni della guerra. Proprio degli scritti di Simone Weil volevo lasciare qualche traccia per concludere questa recensione. Simone Weil s'immedesima nel matto shakesperiano ed evoca la maschera del fool ed è convinta, e lo spiega in una lettera ai genitori, che ...""in questo mondo soltanto gli esseri caduti nel grado estremo dell'umiliazione, ben al di sotto della mendicità, privi di considerazione sociale e addirittura sprovvisti della primaria dignità umana , la ragione, soltanto loto possano dire la verità, tutti gli altri mentono. Se lodano la sua intelligenza, Simone lo sa bene, è per spingerla in quel ruolo...La mia reputazione di intelligenza è l'equivalente pratico dell'etichetta del matto, del fool"". Bel testo molto articolato
Ho sfiorato più volte le biografie di Simone Weil e Hannah Arendt. Nel desiderio di approfondirne vita e pensiero, ho scelto questo libro che in realtà si è rivelato altro da un saggio comparativo. L'autrice intesse una conversazione a più voci, introdotta e modulata dalle riflessioni di Virginia Woolf sul punto di vista femminile in relazione a Storia e strutture sociali. Le 'protagoniste' (alle due citate si aggiunge Rachel Bespaloff) sono accomunate dall'origine ebraica e dall'essersi trovate a vivere nella tempesta scatenata dall'ascesa del nazismo. Con diversa sensibilità ciascuna di loro ha espresso le proprie considerazioni su violenza e responsabilità, sulla funzione della poesia e della letteratura. La lettura è stimolante, ma l'angolazione scelta a tratti pare ingabbiare queste donne in una trama che esclude aspetti rilevanti del loro pensiero. Per chi voglia allargare il quadro il materiale non manca, come testimonia l'utile bibliografia in appendice.
Recensioni
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Quando si pensa a un saggio, molto spesso lo si fa immaginandolo come un’opera oggettiva che ha in sé i germi della scientificità e del rigore, come un testo costruito a partire dall’analisi di reperti o dati certi, e pertanto scevro di qualsiasi elemento di soggettività. La storia della critica però insegna il contrario. Sì perché se i dati sono necessari e costituiscono l’ossatura di un’opera, ciò che li tiene assieme e fornisce loro la giusta articolazione è frutto della scelta personale dell’autore: è proprio questo che distingue un critico da un semplice studioso e fa di un saggio un buon saggio. L’insegnamento è di lunga durata e proviene da uno dei maestri della critica letteraria per eccellenza. Nella prefazione a Mimesis infatti Erich Auerbach precisava che il suo libro si basava sia sul metodo filologico che su quello critico, da qui la scelta di frammenti di testi che, sebbene analizzati a partire dalle caratteristiche linguistiche e letterarie, erano stati selezionati in maniera del tutto personale a costruire il panorama letterario europeo. Nonostante le dovute precisazioni l’intellettuale tedesco non riuscì però a evitare le accuse di arbitrarietà, ai suoi recensori sfuggiva che il valore dell’operazione di Auerbach stava nella totalità dell’opera, nel suo eccellente e ancora valido modo di procedere e non nella scelta degli esempi.
Lo stesso discorso vale per Nadia Fusini e il suo nuovo saggio. Hannah e le altre è un libro dedicato alle donne, meglio a tre donne in particolare: Hannah Arendt (citata nel titolo), Simone Weil e Rachel Bespaloff. Tuttavia, a parte l’origine ebraica e il periodo storico in cui sono vissute, all’autrice si potrebbe obiettare che poco altro sembra accomunare le tre donne. Se Simone Weil e Rachel Bespaloff, ebrea francese la prima e ucraina la seconda, appaiono entrambe fragili di fronte alla follia nazista che le perseguita, Hannah Arendt emerge al contrario in tutta la sua forza, allieva eccellente di Heidegger, scampata per miracolo alla persecuzione fu circondata da una fama intangibile nonostante le polemiche innescate dai suoi libri. Buffa, strana e intransigente, solidale fino all’abnegazione Simone; misteriosa, sfuggente, riservata e perennemente straniera Rachel; intellettuale, autorevole, vitale Hannah. Cos’hanno allora in comune le tre donne d’elezione scelte da Nadia Fusini? Cosa le rende rappresentative di un secolo e figure distintive del genere femminile? È l’autrice stessa a rivelarci, all’inizio del libro, la forza del punto d’attacco del suo saggio, ciò che le ha fatto scattare il desiderio di tessere un ordito intorno a queste tre donne: è leggendo i diari di Virginia Woolf e ripetendo a se stessa la medesima domanda della scrittrice inglese che la Fusini arriva a costruire il suo libro: “qual è «the woman’s angle», l’angolo della donna?” si chiede. E come la Woolf anche lei lo ravvisa nel particolare punto di vista che caratterizza chi si percepisce come un outsider, chi coglie in sé il germe dell’esclusione e di una diversità intrinseca a tutto un genere, in questo caso quello femminile. Discriminate per natura, dall’angolo dell’esclusione e proprio in virtù di esso, le donne che abbiano preso pienamente coscienza del loro essere sono in grado di difendere maggiormente la propria libertà e di rivendicare la propria differenza, smascherando in tal modo i luoghi comuni e facendo saltare in aria la menzogna della normalità. E nessuno più di Simone, Rachel e Hannah si è dimostrato capace di cogliere la grave entità del male assoluto che si stava annidando negli animi umani, urlato con forza la necessità di un cambiamento e denunciato la silente “complicità tra il fantasma della forza e l’attitudine alla sottomissione”, il connubio perverso fra potere e violenza, fra guerra e morte.
È così, sulla base di questa diversità costitutiva, dall’alto dell’angolo dell’esclusione che le ha caratterizzate e permesso loro di esercitare l’“altro sguardo”, che Nadia Fusini ha individuato in queste tre donne tre ”antenate indimenticabili” per “le donne di oggi”, e, compiendo in parte la stessa arbitraria operazione di Auerbach, ci ha restituito un saggio critico di grande valore intellettuale.
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