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recensione di Fiori, A., L'Indice 1998, n. 8
A quasi trent'anni dalla sua stesura, Einaudi recupera e dà alle stampe questo testo che, prima d'oggi, era uscito solo sotto forma di dispense universitarie per una piccola casa editrice.
Come si sa, Massimo Mila non fu medievista; per questo la sua scelta di occuparsi di un compositore di quell'epoca ha in sé qualcosa di gratificante e lusinghiero, magari proprio agli occhi di chi ha invece scelto questo periodo storico come terreno privilegiato dei suoi studi. Il senso più evidente di questo interessamento è il riconoscimento del valore assoluto di un compositore così lontano e poco conosciuto. L'abilità compositiva, l'originalità dell'invenzione (che, con grande ammirazione di Mila, emergono anche attraverso le costrizioni formali del mottetto isoritmico) si propongono come valori oggettivi, del tutto svincolati da una concezione evoluzionistica dell'arte musicale.
È vero, il lavoro di Mila non è del tutto scevro da apprezzamenti, annotazioni che risentono dell'impronta del pensiero positivista; bisognerà talvolta fare appello al nostro senso critico vedendo paragonare il musicista fiammingo allo Schönberg delle "Variazioni per orchestra" op. 31 o definirlo "protoromantico". Allo stesso modo bisognerà superare qualche resistenza nel sentir parlare di re minore anziché di primo modo, o di suddivisioni ritmiche in quarti o in ottavi, invece che di "tempus" e" prolatio".
Il pregio di questi scritti è dato dal metodo pragmatico, da addetto ai lavori, dell'autore: se l'inadeguatezza degli strumenti analitici deve condurre all'immobilismo, se la mancanza di un sistema di decodificazione del repertorio antico deve il più delle volte costituire un limite invalicabile per la comprensione di questo tipo di produzione, allora ben venga il sano approccio artigianale di Massimo Mila, che usa forse un linguaggio un po' troppo moderno per parlare dell'antico, ma così facendo porta allo scoperto procedimenti, tecniche, idee che sono costanti in tutta la storia della musica occidentale; qui Dufay non è un musicista calato nel suo tempo, ma viene preso per tutto quanto ha ancora da dire e può essere apprezzato da un ascoltatore moderno.
L'opera originaria di Mila consisteva di tre parti: la prima sulla vita, la fortuna e l'evoluzione stilistica del compositore; la seconda e la terza rispettivamente sulla musica profana e la musica sacra, con analisi singole di molti fra i brani più significativi dell'autore. Una simile operazione editoriale ha comportato un consistente intervento da parte dell'odierno curatore: Simone Monge ha svolto un ottimo lavoro di integrazione alle pagine di Mila, aggiungendo agli scritti tutte le traduzioni mancanti dei brani di Dufay, aggiornando la bibliografia alla fine del volume (ma intervenendo anche in nota ogni qual volta l'argomento trattato richiedesse un completamento), facendo un'accurata ricerca anche nel settore discografico (unico appunto, la mancanza di datazione delle registrazioni).
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