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Anno edizione: 2015
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Mario Isnenghi ha prodotto nell'ultimo trentennio del secolo scorso importanti volumi collocatisi al crocevia tra analisi storiografica e investigazione critica di alcuni punti nodali dell'Italia del Novecento: da Il mito della grande guerra (Laterza, 1970) a Intellettuali militanti e intellettuali funzionari (Einaudi, 1979), sino a L'Italia in piazza (Mondadori, 1994). Si tratta di long-sellers che, con trasmigrazioni editoriali e corredo di nuovi saggi introduttivi, incontrano nuove generazioni di lettori, come avviene ora per Le guerre degli italiani , stampato nel 1989 da Mondadori, e ripresentato in nuova veste, presso il Mulino, con un'impegnativa introduzione, nella quale l'autore ripercorre il proprio itinerario di ricerca e si sofferma sull'interazione musica-cinema-letteratura in relazione all'evento bellico.
Non si cerchi, in questo volume, la cronaca dei combattimenti e la sequela delle battaglie: Isnenghi non è uno storico militare - pur avendo scritto insieme a Giorgio Rochat un testo fondamentale quale La Grande Guerra 1914-1918 (La Nuova Italia, 2000 e Sansoni, 2004) - ma essenzialmente, e proficuamente, uno studioso della cultura e della società italiana; il tema da lui indagato è funzionale alla rivisitazione di un secolo di storia nazionale, da un'angolatura densa di stimoli e produttiva di suggestive scoperte. L'autore è sensibile al richiamo della diana bellica, avverte la fascinazione della retorica tradizionalmente legata al ricordo della guerra, si interroga e ci interroga "sui tamburi e le trombe, sulle forme minime di appartenenza prepolitica, un sottofondo di continuità che hanno accompagnato e rievocano la vita e la morte di tanti, per più generazioni, anche in contesti e orizzonti politici diversi".
La narrazione non è mai distaccata, ma entra nel mezzo delle vicende, ne spreme essenze e significati reconditi, ci fa comprendere stati d'animo e motivazioni con cui gli italiani si rapportarono all'evento bellico. Il combustibile ideale e umano che ha alimentato la macchina bellica è esaminato nel laboratorio isnenghiano con meticolosità e con attenzione precipua a elementi apparentemente di corredo che, come la canzone, propagandarono (o a volte contestarono) le campagne militari.
Il nucleo del volume è rappresentato dal canto popolare, utilizzato quale strumento di comprensione della dimensione sentimentale e della percezione soggettiva, sia dei combattenti sia dei civili legati ai soldati dai fili dell'affetto. 'O surdato 'nnamurato (col celebre ritornello "Oi vita, oi vita mia / oi core 'e chistu core, / si' stata 'o primm'amore, / 'o primmo e ll'ultimo sarraje pe' me!") rivendica con allusiva delicatezza il primato degli affetti e evoca tristemente - nell'insistenza sull'ultimo amore - il destino di una generazione mandata allo sbaraglio da Cadorna. La leggenda del Piave ("Il Piave mormorava calmo e placido al passaggio / dei primi fanti il 24 maggio") cementa nell'immaginario collettivo il mito postumo della Grande guerra e ancora oggi costituisce la colonna sonora dei raduni del 4 novembre. La passione di Isnenghi per il microcosmo musicale deriva dalla frequentazione giovanile di artisti veneziani quali Gualtiero Bertelli e Luisa Ronchini, straordinari interpreti della cultura popolare; tra i "peccati di gioventù" dello studioso veneto spicca - nella seconda metà degli anni sessanta - l'attività di paroliere per un ciclo di brani sul 18 aprile 1948 musicati da Bertelli e incisi a suo tempo per "I dischi del sole": efficace connubio di arte e di riflessione storica, vernacolare interpretazione - attraverso il filo dell'ironia - di uno snodo della vita nazionale.
La molteplicità delle fonti non risulta dispersiva, ma al contrario indica differenti sentieri per giungere sino al cuore degli eventi. L'autore attinge agli scritti dei "padri della Patria" (da Giuseppe Garibaldi a Cesare Battisti), rivisita le memorie di testimoni d'eccezione degli scontri armati, quali il cappellano militare Giovanni Semeria, rispolvera canzonieri e cartoline illustrate, padroneggia l'intricato campo della letteratura di guerra cosparso di scrittori relegati a un passato remoto (Piero Jahier, Mario Mariani, Carlo Pastorino, Mario Puccini, Ardengo Soffici) e di autori tuttora presenti nel circuito editoriale (Giovanni Comisso, Beppe Fenoglio, Carlo Emilio Gadda, Curzio Malaparte, Paolo Monelli, Cesare Pavese, Mario Rigoni Stern). Questo variegato materiale è maneggiato con approccio interdisciplinare, secondo tecniche cinematografiche (incluso l'uso del flashback), come da un esperto regista che collochi attori e frammenti di storie altrui dentro un'opera innovativa dominata dalla propria cifra stilistica. Un secolo di storia patria è rivisitato attraverso approcci molteplici e prospettive felicemente eccentriche, scandite dalla successione delle otto sezioni del volume: Il discorso di guerra ; Proclami, detti, parole d'ordine ; Il canto ; Immagini di guerra ; La stampa ; La letteratura ; Scritti e voci di popolo ; L'arredo urbano . Pagina dopo pagina, il filo narrativo ci accompagna in un continuo rimando tra fronte e retrovie, dalla trincea alla città dove la vita prosegue secondo canoni di apparente normalità; alle parole e agli scritti della società in guerra seguono le ondate monumentali destinate alla perpetuazione dell'evento bellico nel territorio: dai teatri di combattimento sino al più sperduto villaggio, dove non manca il monumento ai caduti.
Il tema del volume è ritornato attuale, nei tre lustri anni intercorsi tra la sua comparsa nelle librerie e questa riedizione; l'impatto dell'impegno bellico italiano (oggi in Irak, e domani?) sospinge il lettore a verificare come governanti e sudditi, condottieri e soldati, giornalisti e opinione pubblica, romanzieri e lettori si siano via via rapportati con la guerra. Isnenghi è consapevole di avere composto un'opera aperta, una ricerca "affacciata su pieni e vuoti della memoria del passato, sommossi e rimossi dalle mutevoli contingenze del tempo presente", un libro che ci parla anche dell'oggi. Proprio per questo il volume si sarebbe giovato di un supplemento d'indagine sul riaffacciarsi della bandiera italiana in scenari bellici internazionali, con corredo di nuovi miti (o, meglio, nell'aggiornamento dei luoghi comuni del "buono taliano" e della "bella morte"), con stanziamenti cospicui predisposti sul bilancio del ministero della Difesa (sic), con pletora di discorsi e di articoli sulla "missione di pace" affidata ai nostri soldati. Nel 2005 la guerra è il costante sfondo della vita quotidiana, che s'impone con terribile evidenza con il sequestro, talvolta finito drammaticamente e talvolta più felicemente, di nostri connazionali (dal body-guard Angelo Quattrocchi, alle due Simone, alla giornalista Giuliana Sgrena) o con la morte (dall'eccidio dei carabinieri di Nassyria all'uccisione di Nicola Calipari).
Metafore belliche hanno infiorettato persino il dibattito parlamentare sulla fiducia al governo Berlusconi bis, a conferma di come l'esperienza della guerra si sia sedimentata nell'immaginario collettivo e serva quale strumento di lotta politica. Criticato delle opposizioni, il presidente del Consiglio ha rivolto ai suoi detrattori l'epiteto di disfattisti - accusa già lanciata da Cadorna nelle giornate di Caporetto a quanti contestavano la sua condotta bellica - e poi ha citato un apologo familiare: "Mio padre mi ha insegnato l'ottimismo, diceva sempre che quando i soldati vanno in guerra quelli con la faccia triste sono quelli che non tornano mai". Un'osservazione che ben figurerebbe come silloge di questo volume, al fine di completare il florilegio delle retoriche della guerra.
Mimmo Franzinelli
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