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Anno edizione: 2007
Anno edizione: 2007
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Scurati supplisce alla sua ignoranza in materia con fiumane di concetti ovvi che potevano essere riassunti in cinque pagine.Si vede che i lunghi,noiosissimi periodi con cui egli mette a dura prova la concentrazione e la pazienza del lettore erano l'unico mezzo per dar vita ad un libro,piuttosto che ad un opuscolo.Povera la documentazione,soprattutto per quanto riguarda la guerra nel 900.
Una grande occasione mancata. Scurati parte bene, con un'analisi ricca e dettagliata dell'Iliade omerica, anche se ogni tanto un po' ripetitiva. Poi ha delle intuizioni interessanti su Tasso e Ariosto, anche se salta un po' troppo disinvoltamente il periodo medievale vero e proprio, i poemi cavallereschi, eccetera. Ma quando salta da Stendhal alla Guerra del golfo passa decisamente il segno. Come si fa a intitolare Guerra un libro che ignora tutta l'enorme produzione letteraria sulla guerra del XX secolo? Scurati non prende in considerazione personaggi del calibro di Céline, Gadda, Drieu La Rochelle, Hemingway, Heller, Vonnegut, Mailer, Renn, Rigoni Stern, tanto per citare alcuni degli scrittori che si sono trovati a vestire una divista e poi a raccontare cosa era successo loro in guerra. Né prende in considerazione autori come Kraus, Proust, Pynchon, che pur non avendo combattuto hanno avuto intuizioni fondamentali sulla guerra moderna. Insomma, è un po' troppo comodo proporre un'ipotesi, parlare solo dei testi che la confermano, e far finta che non esistano tutti quelle opere (alcune delle quali fondamentali per la letteratura in generale) che mettono in crisi il proprio discorso. L'impressione è che l'autore abbia deciso di risparmiare le forze, lavorando solo su quei classici che tutti conoscono (Omero, Ariosto, Tasso, Shakespeare, ecc.), ma senza fare una seria ricerca su tutta la massa di testi (già esplorata da altri critici, peraltro) che costituiscono la letteratura di guerra del Novecento. Questa, però, è mancanza di serietà scientifica.
Recensioni
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Scurati si occupa da tempo di guerra, sia come saggista, sia come romanziere (Il rumore sordo della battaglia, Mondadori, 2002). In questo suo ultimo lavoro ragiona attorno alla trasformazione che il racconto di guerra ha subito nella cultura occidentale. I tre momenti nodali individuati da Scurati sono rispettivamente l'epica classica, il romanzo "moderno" (utilizzando il termine nel senso più lato: si tratta di un'ampia panoramica, che parte dall'"autunno del medioevo" e arriva sino a Stendhal), e la televisione dei giorni nostri. Il complesso e stimolante percorso costruito da Scurati è segnato sostanzialmente dalla progressiva perdita di senso dell'esperienza bellica. Nel mondo antico - scrive l'autore - la guerra si configurava quale "dimensione generativa di significati e valori collettivi". Il guerriero omerico - lÆIliade rappresenta, infatti, il paradigma di questa concezione della guerra - riesce a imporre la propria individualità sul caos della mischia nel momento glorioso del duello. Il mondo moderno, invece, sperimenta il dissolversi dell'aura eroica del combattente e, al contempo, l'impossibilità di raccontare la guerra: la battaglia diviene un'esperienza irrazionale, dominata dall'anonimato della morte di massa e dall'impossibilità di cogliere il senso generale dell'azione. La descrizione di Waterloo nelle pagine iniziali della Certosa di Parma, in cui Fabrizio del Dongo non comprende nulla di ciò che gli avviene attorno, rappresenta la testimonianza più lucida di questo scacco. La terza fase, il cui baricentro è rappresentato dalle dirette televisive della prima guerra del Golfo, registra il definitivo venire meno della "visibilità" della battaglia. Tanto i mezzi di comunicazione di massa ci promettono di "vedere tutto", quanto in realtà essi non ci mostrano nulla, se non uno schermo verde attraversato dalle scie luminose del fuoco contraereo: la televisione, lungi dall'offrirci un racconto articolato della guerra, non fa che portare a compimento la paradossale cecità di Fabrizio.
Giaime Alonge
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