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Nuto Revelli ci trascina dentro la guerra con il suo orrore, quello dei morti, dei dilaniati dalle bombe, delle paure, delle vigliaccherie e superficialità di chi comanda, della impreparazione e della inefficienza degli eserciti, che sono condanne a morte per chi combatte. La descrizione della ritirata dell’Esercito Italiano in Russia è un diario di morte, dolore, sofferenza, rimorso per l’abbandono nel gelo dei feriti gravi, di coraggio e viltà, un racconti di qualcosa di più terrificante di una bolgia dantesca. Altrettanto coinvolgente/interessante è il racconto della sua partecipazione alla Resistenza, col suo stile diaristico Revelli ci fa conoscere tutti i problemi incontrati dai partigiani: problemi di approvvigionamento, di logistica, dove trovare rifugio, dove nascondere le armi, di collegamento fra i vari gruppi, come e quando affrontare tedeschi e fascisti. Il racconto di Revelli descrive senza enfasi e senza ipocrisie, con grande realismo, la vita dei partigiani fra le difficoltà di ogni giorno, il coraggio e le paure, la tenacia e l’abbandono, il dolore profondo per chi, compagno di lotta, muore, per chi non ritornerà a casa. Nei suoi racconti c’è una potenza evocativa che ti avvolge, che non ti permette di fuggire da quella che è la realtà. Un libro che tutti dovrebbero leggere, soprattutto di questi tempi, ed in particolar modo le ultime generazioni, quelle che non hanno mai sentito raccontare la guerra da chi l’ha vissuta e magari pensano che le guerre siano come quelle che combattono nel virtuale o siano fatte di quegli episodi sporadici e sintetici di molti media che raccontano poco o niente e che fanno somigliare la guerra ad una partita di calcio dove si segna un gol o lo si subisce. .
Giovane alpino del vercellese, Revelli non vede l'ora di fare davvero la guerra. Controvoglia, dal momento che voleva rendersi utile sul fronte italiano, viene spedito in Russia. Sulle rive del fiume Don comincia a rendersi conto, da una parte, della inutilità - e della conseguente ineficcienza, di un contingente alpino in una zona di pianura; dall'altro, dell'inferiorità, dimostrata dall'equipaggiamento e dal semplice abbigliamento nei confronti dei tedeschi - che dovrebbero essere alleati, quindi solidali - e dei sovietici. Il racconto della ritirata, in pieno inverno, è straziante. Quasi quanto scoprire che c'è chi fa profitti sulle disgrazie dei soldati. È qui che Revelli comincia a intertogarsi sul fascismo, sulla sincerità della propaganda di Mussolini e sulla bontà di italiani e tedeschi. Rientrato in Italia i suoi dubbi si fanno ancora più forti, fino a prendere la giusta decisione di smettere di combattere per i fascisti e di combattere contro i fascisti, diventando partigiano. Attraverso appunti e testimonianze, il racconto diventa una sorta di Diario di bordo della Resistenza che si combatte sulle montagne piemontesi fino al confine francese (dove Revelli entra nella Brigata Rosselli), che spinge il lettore dentro agli eventi, fino a farlo sentire parte attiva. "Non appena riprendiamo la marcia, la neve si fa sabbiosa, pesante. È la neve peggiore, quella che stanca di più. Procedo a denti stretti, sbando dalla stanchezza. Ho una distorsione al ginocchio, non alzo, ma trascino i piedi nella neve, tanto sono pesanti. Al costato un dolore profondo mi opprime: forse è il cuore. Sento che le forze mi abbandonano, a tratti mi lascio distaccare. Se tento di riguadagnare il terreno perduto la vista mi si annebbia. Vado avanti per forza d'inerzia, a gambe larghe per non cadere; i piedi avvolti nei malloppi di coperte sono incollati alla neve e il busto pensa in avanti. Rivivo episodi dell'infanzia, lontanissimi, dimenticati, rivedo i miei, la mia Annetta".
Tristissimo contenuto. Ma sarebbe utile alle generazioni d'oggi leggerlo per capire di che coraggio, dignità, umiltà e generosità sia capace il genere umano
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