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Più che apprezzato in Francia, e finalmente riconosciuto internazionalmente come uno degli autori più interessanti e originali nel vasto arcipelago noir, Magnan mette in scena con poche righe un personaggio-narratore di affascinante ossessività, il commissario Laviolette, "grassone cattivo e misantropo", che parte a raccontare l'episodio chiave della sua esistenza, quando nel dopoguerra raggiunge nella Spagna franchista una cattedrale gotica, per ammirare un trittico attribuito al Parmigianino, e - rimasto chiuso inavvertitamente nella chiesa - assiste a un rito antico e atroce. E il lettore viene trascinato in un incubo fuori dal tempo, in poche ma intense pagine sospese tra realismo e allucinazione che scorrono impeccabili, ossessive e conturbanti, ricche di suggestioni visive e rimandi pittorici non gratuiti. Poi - caratteristica ricorrente nella scrittura di Magnan - ritmo e intonazione cambiano bruscamente. E nella seconda parte, a rischio di essere meno incisivo, il ripercorrere il tempo successivo (con Laviolette segnato dalla crudeltà del mondo e interessato soltanto a raccontare e denunciare, sfidando l'incredulità e l'omertà a rischio della vita) si colloca in una concretezza storica e politica che carica ancora di più la rabbia e la disperazione tipica di molto noir francese. Ancora una volta, come nei romanzi di Malet o Manchette, ci sono uomini soli impegnati a fronteggiare la crudeltà collettiva e istituzionalizzata. Magnan si segnala comunque per il suo stile fuori dal tempo e dalle mode, tra realismo e fiaba crudele.
Paolo Manera
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