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Io invece non sono riuscito a finirlo. La scrittura è quella di un harmony, appena appena un po' più ricercata. Ecco, ricercata ma vuota.
Ho letto Il Grande Omi mentre andavo in treno da Torino a Napoli, l'intercity. L'ho finito prima di arrivare, ovviamente. Quando sono arrivato a casa, ho guardato il cd. Prima ho letto il libro e poi ho guardato il cd. Devo dire che in genere sono molto scettico riguardo questo tipo di operazioni (contaminare la letteratura di informatica da nuovo millennio e il contrario). Ma mi ha colpito invece questo nuovo modo di utilizzare questo tipo di supporto. E' molto interessante anche se restringe il campo evocativo della parola (dato che l'autrice scrive di persone che io mi immaginavo in un modo e poi, nelle fotografie viste dentro la play card, erano tutt'altro). Non avevo capito subito che cosa mi divertiva in questo gioco. L'ho capito dopo. Bel libro. Ne farei un testo teatrale, o un film visto che la scrittrice fa aanche lasceneggiatrice. L. Lucentini, Napoli.
13 maggio 2001 IL GRANDE OMI E' un libro sul dolore perché la cicarice lascia un dolore profondo e quello che c'é sulla pelle é dolore. Anche la ragazza si confronta con la morte, la delusione, tutti tatuaggi che noi non vediamo ma che esistono e ci lasciano delle tracce e questi sono indelebili, apparentemente puoi cancellare una cicatrice, ma a livello dei sentimenti, del cuore, dell'emozione, non si tolgono. Le ferite si rimarginano le cicatrici no. D'altro canto sono il simbolo della vita che scorre. Guarda l'ombelico. E' la traccia della sofferenza della nascita, la cicatrice della nascita, ma ti permette una vita autonoma. E' un libro che comunque non ti lascia indifferente, perché anche certe domande che i protagonisti si pongono possono essere degli spunti di riflessione. Non é una storiella.
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