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Fra la trilogia della “famiglia Aubrey” di Rebecca West e la trilogia della “Spada d’Onore” di Evelyn Waugh ecco che, all’interno della tradizione letteraria britannica del novecento, vengono a ben collocarsi anche le due trilogie, quella “balcanica” e quella “levantina”, di Olivia Manning. La Manning ha elaborato il suo percorso letterario consolidandolo soprattutto nel corso degli anni ’60, dopo una intensa attività giornalistica vissuta insieme al marito come inviati di guerra, dalla fine degli anni ’30 poco oltre i ’50. In questo primo volume della “trilogia balcanica”, ambientato nella Romania del secondo conflitto mondiale, l’autrice ricompone, con un’ironia tipicamente anglosassone e la sensibilità di una (grande) donna, tutte le difficoltà che la legazione britannica si trovò lì ad affrontare dovendosi confrontare, da alleato sguarnito ed impreparato, con il macabro avanzare della follia nazista. Per il tramite d’una scrittura pulita e coincisa, essenziale e diretta, l’autrice non potrà fare a meno di rimarcare l’incauto desiderio che la popolazione agognava raggiungere cinicamente simpatizzando verso chiunque potesse essere in grado di proteggerla dall’imperversare della tragedia, così come non ha mancato di descrivere l’indifferenza che dalle classi agiate ed in molti casi ormai decadute imperversava come evidente fallimento d’uno status definitivamente superato, e come e quanto i contadini venissero duramente brutalizzati, ed il basso livello etico della borghesia con tutte le paure, la confusione e lo scettico abbandono d’un ordinamento dirigente incapace di saper distinguere verso quali ideali andarsi solidamente a collocare. La storia, inesorabile, vista con gli occhi di chi ha vissuto in prima persona quegli anni terribili dal basso della strada, fra la gente ed all’interno della durezza d’una vita affrontata, giorno dopo giorno, senza troppi inganni. Un libro, vista pure l’offerta IBS, da non perdere. C. Matar
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