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Un fiume carsico percorre gli scritti cartesiani, dal 1630 al 1648: la teoria della creazione delle verità eterne. Per Descartes tutto ciò che esiste è creato da Dio: questa tesi si applica non solo agli enti esistenti, ma anche alle loro essenze e, soprattutto, alle leggi matematiche e logiche che ne fondano la stessa possibilità. Le verità matematiche e gli assiomi della logica, insomma, sono veri perché Dio li conosce e li vuole come tali, senza godere di alcuna indipendenza dal loro creatore.
Come la critica ha rilevato negli ultimi decenni, si interrompe così la lunga storia dell'analogia tra Dio e l'essere umano: le leggi che regolano il nostro pensiero hanno sì un'origine divina, ma non istituiscono nessuna affinità tra umano e divino, perché avrebbero potuto essere altre, sebbene questo ci risulti incomprensibile. Nel corso degli anni questa tesi si arricchisce di particolari: si chiarisce progressivamente che essa vale non solo per le verità matematiche, ma anche per gli assiomi logici e perfino per le regole morali; emerge poi che non si tratta di una forma di volontarismo, dal momento che per Descartes in Dio non è possibile rintracciare nessuna distinzione tra intelletto e volontà.
Presentata come dotata di un alto valore apologetico, questa fu sicuramente una delle opinioni cartesiane più sfortunate: non la accolse nessuno dei grandi post-cartesiani (Malebranche, Spinoza, Leibniz). Per gli anti-cartesiani divenne anzi un cavallo di battaglia: molti furono quelli che vi trovarono una conferma delle pericolose derive dello scetticismo, già presenti nel dubbio iperbolico e nel cogito. In campo riformato si arrivò persino ad affermare che fosse funzionale alla difesa del dogma della transustanziazione, in una filosofia che invece minava alle basi la sua tradizionale spiegazione grazie all'equivalenza di materia ed estensione.
Il saggio di Giuliano Gasparri ci aiuta a ripercorrere non solo queste polemiche, ma anche la difficile seppur diffusa ricezione della creazione delle verità eterne tra i cartesiani solitamente considerati minori. In Olanda, ma anche in Francia, molti furono i filosofi e i teologi che di Descartes apprezzarono anche questa teoria. Con un destino che si ripete per tutti gli snodi centrali del pensiero cartesiano, nessuno dei suoi sostenitori la ripresenta però con le caratteristiche dell'originale. Con un primo slittamento essa viene ricondotta nell'ambito dei dibattiti ormai plurisecolari sull'onnipotenza divina: spesso quello che all'origine è un problema nato dalla fondazione della matematica e della fisica diventa invece l'elemento di un dibattito squisitamente teologico (come, del resto, era spesso anche per gli interlocutori di Descartes).
Ma ciò che risulta impossibile a chi riprende in proprio questa teoria è mantenere l'equilibrio tra necessità e contingenza: Gasparri mostra bene come una parte dei sostenitori di Descartes accentuerà il primo aspetto, equiparando di fatto necessario e contingente, possibile e reale, mentre un'altra metterà in luce il secondo. "Dio può fare solo ciò che vuole" o "Dio può fare ciò che vuole": chi abbraccia la prima tesi dovrà rispondere all'accusa di determinismo e di spinozismo, chi accoglie la seconda a quella di scetticismo e di irrazionalismo. Paradossale la teoria delle verità eterne? Certamente la critica deve ancora spiegare efficacemente perché quello che Descartes presenta come un elemento centrale della sua metafisica sia spesso presentato in modo da attenuarne la portata e, soprattutto, compaia solo nelle lettere o in alcune risposte agli obiettori delle Meditazioni, senza essere messo alla base dell'impalcatura metafisica dei grandi capolavori cartesiani.
Antonella Del Prete
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