Artista poliedrico, Rahimi è anche fotografo e cineasta: un intellettuale nel quale si incarnano lo spirito di libertà e la voglia di ricostruzione di un popolo che ha lungamente sofferto.
«Le parole di Atiq Rahimi in pegno per un Afghanistan felice.» - Tuttolibri, La Stampa
«Lo scrittore in esilio riflette su parole e immagini temute dalle dittature.» - Domenica Il Sole 24 ore
«Le sue opere, dense di evocazioni dell'Afghanistan, non sono mai state così nostalgiche come in Grammatica di un esilio.» - Il Manifesto
«La grammatica emotiva di un grande scrittore, la mappa - a parole - di un'esistenza.» - Paolo Di Paolo
Attraverso la scrittura di ricordi, riflessioni e, talvolta per sopperire alle parole, di lettere e disegni, Atiq Rahimi propone un racconto intimo e poetico, una meditazione su ciò che resta delle nostre vite quando si perde la terra dell'infanzia. L'autore afghano evoca i suoi esili in un libro che, più che un'autobiografia, è un'erranza che attraversa scritture diverse. "Ho parlato molto della mia terra natia, delle donne biasimate, della guerra che si è presa mio fratello e ha disperso la mia famiglia ai 4 angoli del mondo... Ma non ho mai evocato il mio esilio. Non appena mi appresto a descriverlo sono disarmato, muto, come davanti a un buco nero. L'esilio è una strada senza ritorno. Una volta dentro non si riesce più a disfarsene. Si diventa per sempre un essere errante, da quel momento si è intessuti. Sono come la callimorphe, questa farfalla migratrice dalle ali nere zebrate di bianco che dopo aver lasciato il suo bruco è condannata a volare notte e giorno".)
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