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Anno edizione: 1999
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Pitrè, in questo saggio, lascia che la precisione minuziosa della cronaca sfumi nell’evasione di un racconto metafisico.
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Non è qui il caso di soffermarsi ulteriormente nell'analisi di epiteti infamanti,che fanno riferimento agli escrementi.Alla luce di questo complesso discorso riguardo agli Zingari ed intorno agli usi e ai significati correlati degli escrementi si può concludere come l'ipotesi interpretativa del detto siciliano avanzata dal Pitrè sia senza dubbio riduttiva.In quella curiosa espressione dialettale è possibile ravvisare quasi una summa di significati reconditi agli Zingari ed alle feci.Innanzitutto essa evidenzia un intento spregiativo nei confronti di coloro che si avventurano per la strada nelle predizioni,e per estensione,verso gli zingari stessi che professano l'arte divinatoria,dal Pitrè palesemente considerata alla stergua di una autentica giunteria,come si deduce dal seguito della noterella in questione. Inoltre, ricordando il carattere"assorbente" delle virtù,caratteristico degli escrementi,si pensasse che-attraverso l'ingestione delle deiezioni di individui tradizionalmente dediti all'attività divinatoria,ovvero gli zingari della quale sono ritenuti particolarmente esperti questa abilità passi automaticamente in coloro che si cibano di tali sostanze defecate dagli zingari,Non bisogna poi sottovalutare anche l'aspetto demoniaco presente in queste sostanze innocue ma ripugnanti e l'atto di mangiarne, per lo più defecate da una stirpe da sempre messa in relazione dalla fantasia popolare con le potenze infernali,può forse considerarsi anche il suggello di una sorta di patto col diavolo.In ogni caso, queste interpretazioni non sfiorano minimamente il pensiero del Pitrè.Egli si limita a citare delle parole che fa risalire a un "gergo zingarico"e che attesta passate col tempo fra i vocaboli della "lingua furbesca" degli strati più bassi della popolazione non esenti da attività furfantina, d'imbroglio,di brigantaggio.Di più il Pitrè non dice,e in verità non potrebbe nemmeno, e in verità non potrebbe nemmeno,la sua visione degli zingari appare piuttosto vaga ma diffusa
Recensioni
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Giuseppe Pitrè, il grande demologo siciliano, scrisse questa cronaca del soggiorno, nel 1787, di Goethe a Palermo a servire da introduzione a un'edizione del Viaggio in Sicilia, che poi non vide mai la luce. É un testo curioso in cui, nello stile elegante e con la forza evocatrice del grande storico, Pitrè sembra di più dedicarsi alle bugie e alle imprecisioni lasciate qui e là da Goethe, come a nutrire un sospetto: la scoperta della vera posizione della pensione, dell'identità di un certo condannato, di un falso giorno di pioggia, di una processione mai avvenuta. Quasi un'inchiesta, in cui l'italianista Fernandez, curatore del volume, vede una prova di sicilitudine: il desiderio di conferma, attraverso la ricostruzione di come stavano veramente le cose, di non poter essere solo un sogno. Si può aggiungere: occupandosi, non di Goethe e di Palermo, ma dello smascheramento delle sue deviazioni, come fossero occulte debolezze da decifrare o alibi da saggiare, Pitrè lascia che la precisione minuziosa della cronaca sfumi nell'evasione di un racconto metafisico.
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