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Pubblicato nel 1773, il Globo di Venere fu concepito da Antonio Conti – originale figura di letterato, scienziato e pensatore dell’età preilluminista (1677-1749) – come risposta all’invito del nobile Paolo Carrara, il quale indisse un certame poetico per onorare la memoria della consorte immaturamente scomparsa, donna Antonietta Anguissola. Ma l’occasione esterna si rivelò poi una fortunata circostanza, che diede modo al Conti di elaborare un singolare, affascinante “sogno” poetico-visionario, lungo poco più di mille endecasillabi sciolti. Trasportato sul pianeta Venere, sede delle anime nobili e “belle”, il poeta viene guidato da Eubulia – sorta di novella Beatrice – alla scoperta delle meraviglie del luogo. Ed ecco stendersi, sotto gli occhi attoniti del visitatore, pianure di metallo lucente, montagne cristalline, fiumi d’argento vivo, e mille altri particolari straordinari, il tutto illuminato da una luce come di aurora boreale. Il sogno, vivacizzato dal serrato dialogo tra il poeta e la sua guida, si conclude con il trionfo di Antonietta, consacrata sacerdotessa di Venere, simbolo in questo caso non dell’amore carnale, ma della Bellezza e dell’Armonia. Venato di stilizzate cadenze neoclassiche, felicemente coniugate alle più avanzate cognizioni scientifiche dell’epoca, il Globo di Venere si propone come significativo esponente di un “genere” letterario – il poemetto mitologico-filosofico – baciato da grande fortuna durante l’intero Settecento, tanto da annoverare, tra i suoi tardi epigoni, il Monti del Prometeo (1797) e il Manzoni dell’Urania (1809).
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