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Usciva nel 2007, tradotta e pubblicata l'anno dopo in Italia, l'accorata presa di posizione di Jean Clair su "La crisi dei musei. La globalizzazione della cultura" dove la simonia, la vanagloria e l'accidia articolavano e definivano in tre capitoli una situazione analizzata con lucida indignazione e dettata da un evento contingente ma fondamentale per riflettere su alcuni aspetti propri dei nostri tempi: la riduzione in "griffe" di un nome e di una storia prestigiosi con la "vendita" del "marchio" Louvre all'Emirato di Abu Dhabi. Ma può esistere una didattica museale in franchising? Come è possibile che una attività che trova le sue modalità di attuazione nel far interagire in modo attivo, dinamico, flessibile tre elementi imprescindibili: oggetti, soggetti e contesti, possa realizzarsi ed ottenere risultati affiliando realtà spesso diametralmente opposte tra loro? E come è possibile che prenda avvio proprio dagli Stati Uniti dove il museo è innanzitutto uno strumento di educazione: una fondazione essenzialmente privata, ma al servizio del pubblico con lo scopo di mettere conoscenza e sapere a disposizione di tutti per favorire l'integrazione sociale e culturale? Un affascinante interrogativo e un'originale ipotesi di ricerca sono diventate per merito della sua autrice, Serena Maffucci, delle sue indagini svolte con competenza e pas-sione in tutte le sedi della Fondazione, delle sue riflessioni critiche, un testo prezioso, uno strumento indispensabile di approfondimento e di confronto per quanti si occupano di arte contemporanea, dei musei che la contengono e la promuovono e dei loro programmi comunicativi e educativi. L'impostazione attenta e critica dell'autrice, che si avvale anche dell'esperienza e della competenza acquisite al MAXXI, individua i filoni positivi che sfruttano al meglio le nuove tecnologie di comunicazione.
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