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Il volume Giuseppe Terragni: trasformazioni, scomposizioni, critica – che esce finalmente dopo 40 anni di gestazione – documenta ed esamina a fondo due capolavori dell’architetto razionalista italiano Giuseppe Terragni: la Casa del Fascio (1933-'36) e la Casa Giuliani-Frigerio (1939-'40), entrambe a Como. Questa ricerca ad ampio raggio – illustrata con più di 500 diagrammi architettonici originali e fotografie d’archivio – si avvale di quella che Eisenman chiama lettura critica e testuale dei due edifici, applicando una metodologia affatto distante dagli approcci tradizionali – sociale, storico, estetico, funzionale. Al loro posto, le varie articolazioni e le aperture sulle facciate costituiscono una serie di segni e notazioni che sono alla base dell’analisi.
Il libro include un saggio di Terragni sulla commissione, il progetto e la costruzione della Casa del Fascio e un testo critico di Manfredo Tafuri, il noto architetto, storico e teorico italiano, scomparso nel 1994. Questi condensa come segue la prestazione di Eisenman su Terragni:«Eisenman, scrivendo di Terragni, lo riprogetta, dunque: il libro che l’architetto americano dedica al suo ‘padre’ degli anni ’20-’30 è un ulteriore manifesto teorico a sostegno delle sue architetture senza patria, liberate sopra lo spazio e il tempo. Anche Eisenman è maestro nell’arte della simulazione».
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Da "Arch'it", [28 gen 2004]: <<"Trasformazioni, scomposizioni, critiche" era già da tempo "condannato" allo status di evento editoriale. Al suo interno una minuziosa ed ossessiva sequenza di diagrammi assonometrici in linee rosse e nere scompongono l'articolazione formale delle facciate delle due opere di Terragni su cui l'attenzione di Eisenman da sempre si sofferma: la Casa del Fascio e la Casa Giuliani-Frigerio. Le due architetture danno corpo alle due parole chiave del post-modernismo: Trasformazione e Decomposizione. La casa del fascio rappresenta il processo di trasformazione attraverso cui la simbologia tradizionale del palazzo si dissolve in una miriade di partiti autonomi dei quali emerge, proprio in virtù della loro compressione all'interno del volume icastico del "palazzo", l'irresolubile incongruenza verso l'insieme. La Casa Giuliani-Frigerio costituisce il decomporsi degli stilemi dell'architettura moderna in forma di un testo nel quale letteralmente galleggiano alla deriva le modalità formali dell'apparenza modernista. L'idea centrale che il libro propone è quella di una articolazione del linguaggio architettonico in forma di testo critico, un'idea che molti critici nel passato hanno ricondotto alla sua origine Barthesiana. In realtà l'evoluzione del testo critico eisenmaniano è parallela a quel momento di transizione tra lo Strutturalismo e il Post-strutturalismo nel quale i "deliri scientifici" di Roland Barthes venivano trasformati, decomposti e criticati dagli studi degli allora debuttanti Derrida e Deleuze le cui vulgate hanno poi determinato, nel bene e nel male, la produzione teorica dell'architettura nelle ultime decadi [...] Un saggio di Manfredo Tafuri e uno scritto dello stesso Terragni sulla vicenda costruttiva della Casa del Fascio completano il percorso a ritroso della (fin troppo) paziente recherche eisenmaniana, sullo sfondo di un candore tipografico che riporta alle pagine del primo catalogo dei Five. Il libro nel complesso appare di estrema bellezza>>.
"Questo libro è il lavoro di due architetti [...]Il lavoro di entrambi può essere visto come un tentativo di dislocare le architetture di ciascuno dalle specifiche condizioni storiche"; e l'autore del libro "entra in conflitto tanto con il primo architetto e la sua storia, quanto con la sua propria condizione storica". Di qui la necessità di creare "distanza" con mezzi che, però, non sono quelli offerti dalla storia, bensì da una particolare "impalcatura" analitica, da una "nuova struttura metodologica" che, piuttosto che ancorare Terragni al suo contesto storico, tenti di "separare certi significati creati dall'architettura di Terragni dai suoi significati più tipicamente connaturati" […] Una tale delimitazione del campo d'indagine è senza dubbio essa stessa storicamente determinata. La pretesa che il proprio punto di osservazione sia incondizionato, da parte di Eisenman, è altrettanto "antiscientifica" quanto la pretesa di un'autonomia disciplinare dell'architettura; e va certamente considerata in un quadro di natura storica. Non è però l'assenza di queste preoccupazioni che può essere imputata a Eisenman nella sua lettura delle opere di Terragni. Dall'esterno, la sua operazione, pur dotata di rara coerenza, è sin troppo facile da liquidare come un gioco raffinato ma elusivo, al limite irresponsabile. Un gioco, però, non dissimulato e, anzi, ampiamente esibito. La stessa esclusione della dimensione semantica dall'architettura, in fondo, sembra costituire la lucida accettazione di un ineludibile status quo; in questo senso, risulta fortemente polemica soprattutto nei confronti di un Louis Kahn. Quanto occorre sempre tener presente è infatti l'anomalia di un'opera, come quella di Eisenman, costretta ad assumere come presupposto la propria coerenza e ad accettare di situarsi a un passo dall'irrilevanza. In questo senso, il libro su Terragni si presenta non solo come un'illuminante analisi di due opere architettoniche, ma come una lucida e consapevole operazione, capace di parlare a e di noi tutti.
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