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Il giudice e i suoi limiti. Cittadini, magistrati e politica - Paolo Borgna,Marcello Maddalena - copertina
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Descrizione


Due magistrati, diversi per età e opinioni, riflettono sul loro mestiere senza pregiudizi e senza reticenze. Un libro coraggioso, per discutere in pubblico di una funzione essenziale per tutti, decisiva per lo Stato di diritto.
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Dettagli

2003
7 novembre 2003
215 p., Brossura
9788842071266

Voce della critica

Dibattere i temi che riguardano l'amministrazione della giustizia si rivela compito sempre più faticoso e frustrante. Quando gli interessi particolari alimentano in eccesso le motivazioni del ragionare sulla norma generale e astratta, al confronto pacato e talvolta proficuo si sostituisce la polemica aspra e quasi sempre sterile. Alla fatica si accompagna la frustrazione quando alcuni degli interlocutori vantano la propria incompetenza come fonte di legittimazione privilegiata per l'attività di ricerca della soluzione di ogni problema. Ecco perché va segnalata, come serio e piacevole intermezzo di riflessione ad ampio respiro, la conversazione di Paolo Borgna e Marcello Maddalena, una sintesi non stereotipata della storia dei rapporti tra magistratura e politica negli ultimi decenni.

"Tu non devi violare la legge", dice il magistrato all'uomo politico che raccoglie miliardi di finanziamenti illeciti (Craxi, conto protezione 1981). "Non è ammissibile che un burocrate senza alcuna legittimazione popolare possa decidere chi perseguire e per che cosa perseguire. Questa è giustizia ingiusta", replica l'uomo politico. Il cittadino assiste al diverbio e pensa che una legittimazione popolare acquisita con risorse illecite sia zoppa, ma pensa anche che il potere irresponsabile di un funzionario sia una anomalia pericolosa. Questi sono i termini del confronto che da più di vent'anni innerva il circuito cittadini-magistrati-politica e questo è il tema affrontato dall'introduzione del saggio senza timori di approfondirne i risultati politico-istituzionali che forniscono serietà alle contrapposte ragioni.

Le condotte della magistratura sono ispirate a un'indiscutibilmente doverosa fedeltà al ruolo e ai principi costituzionali che lo devono ispirare o nascondono malamente il fastidio di dover limitare la funzione del magistrato a quella di semplice "bocca della legge" e dunque il fastidio di dover rinunciare a un potere oligarchico e irresponsabile? La questione è serissima e la risposta è tutt'altro che scontata. Ma vi è un'altra questione altrettanto seria: questa premura per tentare di riportare l'attività giudiziaria in recinti più succinti è animata da un encomiabile zelo istituzionale o da una spudorata pretesa di evitare il controllo di legalità nei confronti della classe politica o di ceti particolari? Nonostante in quest'ultimo caso la risposta sia più semplice, gli autori propongono una conseguente e non eludibile riflessione: "perché, nonostante che gli attacchi all'indipendenza dei magistrati siano quasi sempre evidentemente interessati, essi sono sostenuti da larga parte dell'opinione pubblica?".

L'analisi storica di vari conflitti istituzionali sorti nel tempo porta a dire che le accuse della politica allo spettro del "governo dei giudici" hanno sempre avuto successo: troppa la sproporzione di forze tra i contendenti o troppo il timore dei cittadini nei confronti di chi - dopo il superamento di un concorso - può esercitare un potere analogo a chi è munito di consenso elettorale.

Il discorso prosegue per confrontare valori chiave e modalità per la loro soddisfazione: uguaglianza dei cittadini e indipendenza del magistrato. Ma l'indipendenza istituzionale da sola non basta, è indispensabile quella culturale; solo una variegata provenienza sociale nell'accesso alla funzione e solo una continua formazione che svincoli l'identità culturale del magistrato da quella della maggioranza può dare contenuto forte alla pratica dell'indipendenza. Purtroppo, sembra che la storia insegni che il potere giudiziario è sempre stato, salvo qualche fisiologica fase di assestamento che accompagna i cambiamenti politici-istituzionali, in sostanziale sintonia con i valori (e con i poteri) dominanti. Basta pensare ai passaggi tra periodo liberale e fascismo e tra quest'ultimo e la fase post-Costituzione. E forse, purché l'indipendenza non ne soffra, è comprensibile che sia così.

Su questi medesimi temi scorre poi la conversazione tra i due autori: un magistrato che interroga e il suo esperto capo che risponde. Per la verità, nonostante le diverse appartenenze che hanno segnato la loro vita associativa, assistiamo a un duello senza spade in cui la condivisione dei valori fondanti prevale sulla pur visibile distanza di opinioni e di soluzioni in ordine a temi specifici. Un rovello accomuna entrambi: il conto aperto con la sovranità popolare che non è, ma in qualche modo e in parte potrebbe diventare, fonte di legittimazione del potere giudiziario. Meglio rispondere ai cittadini che all'esecutivo, ma come? Abbracciando modelli giacobini che portano al giudice elettivo (sul tema destra e sinistra prima di esprimersi normalmente consultano i risultati delle ultime elezioni) o limitarsi a forme di responsabilità più blande che potrebbero anche solo aprire i Consigli giudiziari ai laici: la gradazione delle soluzioni è ampia e le opinioni divergono.

Ma su un punto Paolo Borgna e Marcello Maddalena concordano, e noi con loro: "Discutere su come trovare un supplemento di legittimazione per il pubblico ministero, che però ne garantisca l'indipendenza, è oggi più difficile che in passato. Per il semplice motivo che coloro che più spesso ne denunciano la scarsa legittimazione democratica, lo fanno non per irrobustirla, non al fine di rendere più forte e più saldo il suo ruolo, ma piuttosto per indebolirne la funzione".

L'ultimo rischio: che il fallimento del tentativo di domare il pubblico ministero porti a una pratica normativa ancora peggiore: il programmato indebolimento dell'efficacia dell'intero processo penale. I segni di tale progetto, che ha molti amici, sono già visibilissimi.

F. Gianaria e A. Mittone

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