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«Questo libro era stato scritto quindici anni fa per influire sull’esito del processo d’appello, smontando in maniera argomentata le presunte prove addotte contro Adriano Sofri. Nel frattempo egli è stato condannato definitivamente; ma le argomentazioni volte a dimostrare la sua innocenza restano. Io credo che molti lettori, arrivati alla fine di questo libro, rimarranno sbalorditi vedendo su quali fondamenti – fradici, per non dire inesistenti – si sia arrivati a un giudizio di colpevolezza.» (dalla Prefazione)
Il 12 dicembre 1969 scoppia la bomba di piazza Fontana a Milano. Il ferroviere anarchico Pino Pinelli è convocato in Questura per accertamenti e dopo tre notti il suo corpo vola dalla finestra dell'ufficio del commissario Luigi Calabresi, contro cui Lotta Continua inizia una violenta campagna. Nel 1972 Calabresi viene ucciso a colpi di pistola sotto casa. Sedici anni dopo un ex operaio della Fiat, già militante di Lotta Continua, Leonardo Marino, si costituisce e confessa al sostituto procuratore Ferdinando Pomarici di aver preso parte all'omicidio Calabresi chiamando come corresponsabili Giorgio Pietrostefani, Adriano Sofri e, come esecutore materiale, Ovidio Bompressi. Inizia così l'odissea dei processi.Indice
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“Il giudice e lo storico” è un’analisi del processo in cui, attraverso vari gradi di giudizio compiutisi fra il 1990 e il 1997, Adriano Sofri, Giorgio Pietrostefani, Ovidio Bompressi, e Leonardo Marino, vennero condannati come mandanti (i primi due) ed esecutori materiali (gli ultimi due) dell’omicidio (datato 1972) del commissario Luigi Calabresi, a seguito dell’accusa/autoaccusa di Leonardo Marino avvenuta 16 anni dopo l’omicidio stesso. Basandosi su una capillare analisi degli atti processuali, Ginzburg mette in risalto i molti aspetti oscuri di questa sentenza, dalla contradditorietà di molte delle dichiarazioni di Marino, alla mancanza di corrispondenza fra quanto da lui dichiarato e le dichiarazioni di testimoni oculari, alle reticenze/menzogne di quei membri delle forze dell’ordine che per primi di Marino raccolsero le confessioni, alla mancanza di riscontri oggettivi sul coinvolgimento degli altri tre accusati. Ne esce un resoconto della vicenda in cui emerge in filigrana l’ipotesi che Marino, nelle sue confessioni, sia stato guidato non unicamente dalla sua coscienza, come ha affermato, ma da altri fini (da fonti esterne interessate a far emergere una ben specifica versione dei fatti?). “Il giudice e lo storico” non è però solo un resoconto di un processo e un “J’accuse” contro chi ha voluto emettere una sentenza basata su un teorema giudiziario suffragato da elementi indiziari insufficienti e contradditori, ma è anche una riflessione, condotta da parte di uno dei maggiori storici contemporanei, sul rapporto fra il mestiere di giudice e il mestiere di storico, figure queste diverse per le differenti conseguenze delle conclusioni a cui giungono, ma legate da simili pratiche metodologiche, quali lo studio e l’analisi attenta delle fonti e della loro veridicità.
“Il giudice e lo storico” è un’analisi del processo in cui, attraverso vari gradi di giudizio compiutisi fra il 1990 e il 1997, Adriano Sofri, Giorgio Pietrostefani, Ovidio Bompressi, e Leonardo Marino, vennero condannati come mandanti (i primi due) ed esecutori materiali (gli ultimi due) dell’omicidio (datato 1972) del commissario Luigi Calabresi, a seguito dell’accusa/autoaccusa di Leonardo Marino avvenuta 16 anni dopo l’omicidio stesso. Basandosi su una capillare analisi degli atti processuali, Ginzburg mette in risalto i molti aspetti oscuri di questa sentenza, dalla contradditorietà di molte delle dichiarazioni di Marino, alla mancanza di corrispondenza fra quanto da lui dichiarato e le dichiarazioni di testimoni oculari, alle reticenze/menzogne di quei membri delle forze dell’ordine che per primi di Marino raccolsero le confessioni, alla mancanza di riscontri oggettivi sul coinvolgimento degli altri tre accusati. Ne esce un resoconto della vicenda in cui emerge in filigrana l’ipotesi che Marino, nelle sue confessioni, sia stato guidato non unicamente dalla sua coscienza, come ha affermato, ma da altri fini (da fonti esterne interessate a far emergere una ben specifica versione dei fatti?). “Il giudice e lo storico” non è però solo un resoconto di un processo e un “J’accuse” contro chi ha voluto emettere una sentenza basata su un teorema giudiziario suffragato da elementi indiziari insufficienti e contradditori, ma è anche una riflessione, condotta da parte di uno dei maggiori storici contemporanei, sul rapporto fra il mestiere di giudice e il mestiere di storico, figure queste diverse per le differenti conseguenze delle conclusioni a cui giungono, ma legate da simili pratiche metodologiche, quali lo studio e l’analisi attenta delle fonti e della loro veridicità.
Ginzburg, uno dei maggiori storici italiani, lo dice subito: Sofri è uno dei suoi migliori amici e lui non può credere che sia colpevole di avere ordinato l'omicidio del commissario Calabresi (o di chiunque altro). La premessa vale una professione di onestà intellettuale, del resto abbastanza superflua, perché nel libro lo storico si comporta da storico e cioè esamina i documenti e le testimonianze senza badare minimamente a chi sia "l'oggetto del contendere". "Il giudice e lo storico" è un libro per riflettere, ancora una volta, sulle ingiustizie della nostra storia recente, ma grazie alla maestria dell'autore si legge anche come un giallo, del quale si conosce già, purtroppo, il triste epilogo.
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