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“Il giudice e lo storico” è un’analisi del processo in cui, attraverso vari gradi di giudizio compiutisi fra il 1990 e il 1997, Adriano Sofri, Giorgio Pietrostefani, Ovidio Bompressi, e Leonardo Marino, vennero condannati come mandanti (i primi due) ed esecutori materiali (gli ultimi due) dell’omicidio (datato 1972) del commissario Luigi Calabresi, a seguito dell’accusa/autoaccusa di Leonardo Marino avvenuta 16 anni dopo l’omicidio stesso. Basandosi su una capillare analisi degli atti processuali, Ginzburg mette in risalto i molti aspetti oscuri di questa sentenza, dalla contradditorietà di molte delle dichiarazioni di Marino, alla mancanza di corrispondenza fra quanto da lui dichiarato e le dichiarazioni di testimoni oculari, alle reticenze/menzogne di quei membri delle forze dell’ordine che per primi di Marino raccolsero le confessioni, alla mancanza di riscontri oggettivi sul coinvolgimento degli altri tre accusati. Ne esce un resoconto della vicenda in cui emerge in filigrana l’ipotesi che Marino, nelle sue confessioni, sia stato guidato non unicamente dalla sua coscienza, come ha affermato, ma da altri fini (da fonti esterne interessate a far emergere una ben specifica versione dei fatti?). “Il giudice e lo storico” non è però solo un resoconto di un processo e un “J’accuse” contro chi ha voluto emettere una sentenza basata su un teorema giudiziario suffragato da elementi indiziari insufficienti e contradditori, ma è anche una riflessione, condotta da parte di uno dei maggiori storici contemporanei, sul rapporto fra il mestiere di giudice e il mestiere di storico, figure queste diverse per le differenti conseguenze delle conclusioni a cui giungono, ma legate da simili pratiche metodologiche, quali lo studio e l’analisi attenta delle fonti e della loro veridicità.
“Il giudice e lo storico” è un’analisi del processo in cui, attraverso vari gradi di giudizio compiutisi fra il 1990 e il 1997, Adriano Sofri, Giorgio Pietrostefani, Ovidio Bompressi, e Leonardo Marino, vennero condannati come mandanti (i primi due) ed esecutori materiali (gli ultimi due) dell’omicidio (datato 1972) del commissario Luigi Calabresi, a seguito dell’accusa/autoaccusa di Leonardo Marino avvenuta 16 anni dopo l’omicidio stesso. Basandosi su una capillare analisi degli atti processuali, Ginzburg mette in risalto i molti aspetti oscuri di questa sentenza, dalla contradditorietà di molte delle dichiarazioni di Marino, alla mancanza di corrispondenza fra quanto da lui dichiarato e le dichiarazioni di testimoni oculari, alle reticenze/menzogne di quei membri delle forze dell’ordine che per primi di Marino raccolsero le confessioni, alla mancanza di riscontri oggettivi sul coinvolgimento degli altri tre accusati. Ne esce un resoconto della vicenda in cui emerge in filigrana l’ipotesi che Marino, nelle sue confessioni, sia stato guidato non unicamente dalla sua coscienza, come ha affermato, ma da altri fini (da fonti esterne interessate a far emergere una ben specifica versione dei fatti?). “Il giudice e lo storico” non è però solo un resoconto di un processo e un “J’accuse” contro chi ha voluto emettere una sentenza basata su un teorema giudiziario suffragato da elementi indiziari insufficienti e contradditori, ma è anche una riflessione, condotta da parte di uno dei maggiori storici contemporanei, sul rapporto fra il mestiere di giudice e il mestiere di storico, figure queste diverse per le differenti conseguenze delle conclusioni a cui giungono, ma legate da simili pratiche metodologiche, quali lo studio e l’analisi attenta delle fonti e della loro veridicità.
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