Da sempre particolarmente attento all'impatto del titolo sul lettore (come dimostrano alcuni suoi titoli, da L'estrema funzione a Lo schiaffo di Svevo; da Carlo Emilio Gadda, il narratore come delinquente a Il vecchio che avanza) non poteva trovarne uno migliore, Walter Pedullà, per dare un contrassegno forte alla sua splendidamente anomala autobiografia di un critico letterario. Giro di vita è infatti un omaggio alla letteratura e insieme all'attraente nucleo di imprendibilità che è in essa, così come nella critica e prima ancora nell'esistenza, in ogni suo percorso: perché possa risaltare da subito, su questo sfondo di confusa contemporaneità, la smagliante e mai prevedibile pluralità di riferimenti, di analogie e paradossi che l'arte e la critica sanno intessere intorno a questo nucleo di imprendibilità e agli snodi fondamentali della vita (dell'autore, ma non solo). Ottant'anni portati con la leggerezza di chi ha sempre praticato un ironico understatement come misura intellettuale prima ancora che comportamentale, oltre cinquant'anni di critica militante e insieme di militante insegnamento universitario, Pedullà ha scelto per questa "autobiografia plurale" le stesse modalità intellettualmente agili, oblique e spesso spiazzanti praticate nella critica e nell'insegnamento. Il posto centrale è riservato a un'autointervista, una sorta di agile pas à deux tra una voce interrogante che è quella di una curiosità mai appagata e spesso provocatoria, di un'attenzione acutissima non solo per la varietà degli aspetti culturali e artistici ma anche per l'intera realtà politica e sociale e una voce che nel rispondere cerca sempre di estendere i punti focali della questione, di valorizzare le dissonanze, di disseminare punti di vista che siano "generatori infiniti di energia". Ci sono convinzioni molto forti e radicate nella visione di questo critico appassionato della realtà in quanto campo di tensioni: la consapevolezza di una sostanziale iniquità di condizioni e di opportunità che permane, a dispetto di tante battaglie combattute; la rivendicazione della funzione insostituibile di un'arte libera e di un'agguerrita critica militante, in un panorama culturale più che mai appiattito dai condizionamenti del mercato editoriale e dove molti scrivono bene, ma domina "la placcatura". Eppure, il particolarissimo stile con cui tali convinzioni sono espresse mai univoco e anzi risonante di analogie, traslati, inversioni, paradossi vale a fondere il loro nucleo granitico in luccicanti rivoli di vivissima intelligenza critica che procura emozioni non solo all'intelletto. D'altronde, lo studioso che ci ha aperto gli occhi alla polifonica bellezza delle pagine di D'Arrigo, alla sincopata sintassi di Pizzuto, alla "farsificazione globale" di Campanile, al furioso plurilinguismo gaddiano, non potrebbe mai prendersi gioco, nella sua scrittura, della peculiare significatività dello stile. Semmai ci gioca, e con esplicita soddisfazione: "Mi entusiasma scovare un segreto fondamentale dell'autore, ma felice sono ancora di più quando trovo la scrittura con cui si legittima il saggio". Dai testi dedicati a coloro che più hanno contato nella sua formazione emergono in piena luce i profili di persone capaci di praticare la fiducia nelle parole e nella letteratura come autentica arte di vita: il padre Salvatore, che nella sua bottega di Siderno imbastiva con identica perizia vestiti e racconti; il fratello Gesumino, che dalla profonda conoscenza del mondo antico attingeva energie per l'impegno nella lotta partigiana; il maestro Debenedetti, "il più grande critico del Novecento", prodigo di osservazioni illuminanti non solo dalla cattedra ma anche nei percorsi in autobus o sul ferry-boat che da Messina li portava in "continente"; l'amico di una vita, Elio Pagliarani, che trasforma in ritmo di musica il linguaggio quotidiano. E, insieme a loro, si precisa ancor di più la complessa fisionomia di quest'uomo di cultura che ha attraversato buona parte del nostro Novecento, prestando ascolto alle più disparate voci della letteratura, purché vi riconoscesse una nota segreta e magari dissonante, un labirinto in cui inoltrarsi, per cercare ragioni non solo all'arte e all'interiorità ("il narratore nascosto" di cui parlava Debenedetti). ma anche alle strutture sommerse, alle pulsioni profonde e agli inquieti sommovimenti della società. Quella che non è venuta mai meno, in questo lungo ininterrotto attraversamento, è la fiducia nella fecondità sempre rinnovantesi delle intersezioni tra immaginario e reale, tra cultura e vita: "Lo sapevate che la critica militante è il genere letterario che rassomiglia di più alla vita?". Maria Vittoria Vittori
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