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Anno edizione: 2004
Anno edizione: 2020
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Un altro libriccino di Agamben, come sempre denso che prende a pretesto la flanerie (o "deriva") fotografica che ci "convoca" ("il soggetto ripreso nella foto esige da noi qualcosa") anche nei dagherrotipi che mostrano le relazioni segrete fra gesto e fotografia, una sorta di escatologia del gesto colta dai bravi fotografi, senza "però, togliere nulla alla storicità e alla singolarità dell'evento fotografato". Siamo per l'A. fuori dall'estetico "piuttosto un'esigenza di redenzione. L'immagine fotografica è sempre più che un'immagine: è il luogo di uno scarto, di uno squarcio sublime fra il sensibile e l'intellegibile, fra la copia e la realtà, fra il ricordo e la speranza". Gli "aiutanti" sono le figure crepuscolari di Benjamin incompiute, "metà geni celesti e metà demoni", inaiutabili epperciò "in qualche modo" traditi da noi. Sono anche fra le cose, non esistendo però una genizah (ove gli ebrei conservano i vecchi libri illegibili, perchè potrebbe pur esserci scritto il nome di Dio). Ma gli aiutanti riconoscono gli "uomini dell'invisibile, cioè gli angeli e gli altri messaggeri che si nasconeono in forme umane o animali" . La sbadataggine è un anticipo della redenzione "quando il messia verrà, lo storto diventerà diritto, l'impaccio spigliatezza e l'oblio si ricorderà di se stesso". "L'aiutante è la figura di quel che si perde. O, meglio, della relazione col perduto". Perchè "In ogni istante, l amisura di oblio e di rovina, lo scialo ontologico che portiamo in noi stessi eccede di gran lunga la pietà dei nostri ricordi e della nostra coscienza (..) Ciò che il perduto esige non è di essere ricordato o esaudito, ma di restare in noi in quanto dimenticato, in quanto perduto e, unicamente per questo indimenticabile. In tutto questo l'aiutante è di casa". Afflati mistici, affermazioni da meditare, talvolta indecifrabili, ma non potabilizzabili , per quanto abbiamo appreso dalla forza del linguaggio e delle idee.
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