Nel 1962 il Manifesto di Oberhausen, emanato nel più importante festival europeo del cortometraggio, segnava il contributo tedesco al florilegio del fenomeno del "cinema nuovo", che aveva iniziato a manifestarsi in diverse zone del mondo. Costituiva innanzitutto un atto di denuncia della stagnazione che, a partire dagli anni cinquanta, aveva colpito il cinema tedesco. Dopo il 1945, infatti, l'industria cinematografica in Germania si era sviluppato in una prospettiva di totale continuità con la produzione del periodo nazista. Lo slogan del premier Adenauer, "niente esperimenti!", poteva funzionare come motto anche in ambito di creatività filmica. Molte delle nuove pellicole non si differenziavano né nei soggetti né nello stile da quelle girate prima e durante la guerra. È in questa situazione di immobilismo che dura oltre trent'anni che a metà degli anni sessanta vengono prodotte opere decisamente nuove come Non riconciliati di Jean Marie Straub, I turbamenti del giovane Torless di Volker Schlöndorff e La ragazza senza storia di Alexander Kluge. Tuttavia, in Germania, ad apprezzare questi film era una ristretta platea di studenti e intellettuali. È in questo contesto, segnato dalla crisi delle sale cinematografiche nonostante il sostegno pubblico alla produzione, che alla fine degli anni sessanta inizia a rivelarsi il genio creativo di Rainer Werner Fassbinder, che ben presto si rivela come la più lucida espressione della nuova cultura tedesca e, al tempo stesso, l'artista capace di intercettare i gusti del pubblico di casa, normalmente poco incline a seguire le altre espressioni dello Junger deutscher film. Storico del cinema tedesco e americano (lo stesso cinema classico amato da Fassbinder), Jürgen Trimborn ha scritto la prima biografia del cineasta morto per overdose di cocaina nel 1982. Raccogliendo le parole dello stesso Fassbinder e i ricordi dei suoi amici, Trimborn ha ricostruito un ritratto di artista affascinante e trasgressivo, la cui statura tirannica e al contempo fragile lo ha portato a vivere senza riguardi nei confronti di se stesso e di chi gli stava intorno. Una serie di comportamenti estremi e provocatori, a tratti anche insopportabili, che tuttavia per Fassbinder rappresentavano la strada più diretta nei confronti dell'esercizio di un'attività artistica basata sulla sperimentazione costante, in cui per soddisfare il suo desiderio più intimo, quello di produrre i film, l'artista si gettava a capofitto in esperienze estreme e dalle enormi potenzialità autodistruttive. È su questa particolare attitudine alla vita, straordinaria ed esagerata, che la biografia si concentra, con il risultato di far emergere l'immagine di un uomo che soltanto nella fusione profonda dell'arte con la vita trovava la sua ragion d'essere più profonda. Ne scaturisce un ritratto complesso e sfaccettato che è anche quello di un'intera generazione, dove la realizzazione di opere come Le lacrime amare di Petra Von Kant e Il matrimonio di Maria Braun, Berlin Alexanderplatz o Veronika Voss (in totale quaranta film in soli tredici anni, solo per parlare del cinema) rappresenta un'irrefrenabile ricerca di stile, in cui il rinnovamento costante dei codici espressivi e dei registri narrativi ha la funzione di catalizzare la violenza e l'aggressività latenti che pervadono la Germania in un determinato periodo storico e culturale. Umberto Mosca
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