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Questo testo mi ha impegnato nella lettura la settimana scorsa, ricavandone grande soddisfazione. La riflessione dell'autore ci risospinge a considerare il mito come luogo di immagini inesplose che per incarnarsi hanno bisogno del potere evocativo delle parole. Sostando quindi in una soglia tra sogno e realtà, pensiero e intuizione, è possibile accostarsi al mondo di Ermes, di cui troviamo felici adombramenti anche nella cultura popolare contemporanea, dal fumetto alla storia del teatro e della commedia dell'arte.
Un inno alla parola del mito, alla sua potenza creatrice; alla parola ornata che induce il dolce sonno a cui abbandonarsi sul limitare del profondo abisso che tutto divora; un inno alla poesia, divino inganno superba contraddizione, che innalza l'Olimpo, edificandolo con l'impasto dei sogni recuperato nel gorgo del Caos che tutto risucchia; un inno, infine, alla vita umana, scintillante nell'onnipotente fanciullezza e mai spenta dal suo irrevocabile destino
Nella sua sintesi più estrema il mito è racconto e parola. L'uno intrecciato all'altro, profondamente, inesorabilmente. Non potremmo immaginare l'Aurora se non con le "dita rosa", non potremmo pensare Ulisse senza astuto e ad Afrodite senza sorriso. Il racconto del mito è costellato di parole che scolpiscono nel nostro cuore, nelle nostre anime. Pura finzione, vaneggi della mente, bagatelle dell'immaginazione? No, semmai il Mito consente di ampliare lo spettro dei colori che informano la realtà percepita e pensata, fino a comprendere gli ultravioletti che solo la narrazione contempla ed esige. L'immaginazione solleva il lembo alla realtà, proprio come in Truman Show, e ci dice, ci sussurra e ci urla in faccia, che quel che facciamo e diciamo quando siamo mossi dal cogito cartesiano non basta, palesa il fiato corto. L'immaginazione libera dalle pastoie dell'Ego, libera ciò che è ambivalente e che il principio di non contraddizione sotteso a ogni operazione logica non può tollerare, pena la perdita dell'esattezza e della attendibilità. Questo pensiero non destituisce la ragione, ma mostra per quello che è: cavallo che corre sulla Terra e si arresta davanti al mare rimpiangendo di non avere le ali. Ma il Mito invita non da ultimo a riflettere sulla pochezza dell'Io, sull'importanza del Noi. Perchè solo nell'invito a prenderci cura del primo pronome plurale, la Storia mostra il volto più soave. Ed infine il Mito, che sa ricalcare le nostre ombre, si muove sul piano della logica non usando il principio dell'aut - aut ma quello dell' et - et. Il corredo mitologico non esclude ma comprende; e perciò è tanto potente, suggestivo, evocativo. Per queste ragioni ho letto con piacere questo piccolo saggio sul Mito, perché mi pare che onori degnamente il pronome Noi.
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