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Fra i grandi titoli del Novecento ce n'è uno, La mossa del cavallo di Sklovskij, che garantisce l'interesse dei letterati per la scacchiera su cui si giocano cavalli e teorie. I cavalli di Savater invece vincono la loro partita negli ippodromi, dove per tagliare il traguardo consumano l'estrema energia "con eroica generosità". Fernando Savater, filosofo di successo, ha una bibliografia di più di venti libri tradotti in italiano fra il 2003 e il 1992, quando uscì Etica per un figlio. Filosofo e buon divulgatore che non si è sottratto alla scrittura. "Fatto sta", sosteneva nella prefazione spagnola, che queste sui cavalli sono le uniche sue pagine non scritte per commissione. "C'è, dunque, qualcosa di strano se le considero mie più di tutte, le mie preferite?". Un tocco polemico, contro l'intellettualismo, giustifica gli "articoli ippici", che ispirarono le raccolte del 1984 e 1995.
L'edizione italiana, in una collana dall'insolito titolo "Per bellezza", incomincia con un pezzo del 1974, che in tre paginette passa dal ricordo dell'infanzia e del padre al racconto delle gare dei corsieri achei durante i giochi funebri in onore di Patroclo. È il tocco narrativo: l'estroso piacere di raccontare le corse, in realtà e leggenda, e di celebrarne le figure, da Federico Tesio, un "genio indiscutibile" per gli amanti del turf, a Ribot, il cavallo che ha un'aura d'immagini, un "brutto anatroccolo" che si trasformò in "un invincibile cigno", una "macchina da galoppo", e il galoppo di Ribot era una delle sole quattro cose straordinarie che John Houston ammetteva di aver visto al mondo. Straordinaria la voce sportiva, o epica, di Savater (proprio lui, che è oggi una delle autorità intellettuali nel suo paese). Sul raccontare in stile semplice Savater praticava le variazioni possibili nel giornalismo: dalla cronaca di cose viste alla memoria famigliare - "Ti ricordi (...) come mi convincesti ad andare la prima volta al Derby di Epsom?" - alla rifioritura di testi letterari, citati in una prospettiva spiazzante: "Non so se ricordate che Anna Karenina precipitò nel suicidio un certo giorno di maggio del 1876 per colpa di un cavallo da corsa". Troviamo dunque Tolstoj e Nabokov, nomi canonici, e altri simili. Ma imprevisto, o almeno poco usato, è uno come Dick Francis, nome di culto per pochi, campione a ostacoli della regina d'Inghilterra: un vero fantino che ha pubblicato, sul gioco dei cavalli, eccellenti thriller, tre dei quali sono stati ripresi da Mondadori. Per moventi strettamente professionali avviene un delitto tra fantini anche in questo libro. Savater infatti si concede un racconto d'invenzione alla maniera di Dick Francis, un umano e maschile delitto punito da una bella e crudele giustiziera saura.
C'è crudeltà e ingenuità in certe pagine di questi articoli, dove Savater evitava tanto la sociologia e la politica, quanto le complesse transcodificazioni (vedi la mossa, gli scarti, gli scacchi), per aderire invece al puro nodo emotivo e alla favolistica innocenza della vita animale. La composita raccolta appare unitaria grazie al punto di vista e alla voce d'autore assai piacevole e mossa, sempre colloquiale e spesso sonora, con un ritmo anche enfatico, e mai pigra. (Questo infatti è un libro senza conformismi).
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